Di solito, a Dicembre, si fanno i bilanci. Si calcolano i cocci raccolti, i cocci sparsi, le persone incontrate, le persone perse, tutti i sorrisi e, una per una, ogni lacrima. Sommando tutto tenti di capire se questa sensazione che ti porti addosso, dentro, questa particolare malinconia che non si stacca da te, cerchi di capire, insomma, se sia dovuta al risultato di quel grande calcolo, Oppure, pensi, Sono io, proprio io. Speri sempre che sia una mera questione matematica: Dodici giorni felici, ti dici, undici giorni tristi, tante giornate medie, poi, ho perso due persone, ne ho trovate tre, aspetta che prendo la calcolatrice che i conti a mente non li so più fare, eccoci, il risultato, sembra in positivo, ho vinto. Non funziona proprio così.
Dei giorni felici rimane il ricordo, il ricordo del profumo di quel ripido sentiero ricoperto di foglie, del rumore dell’acqua che scorre a lato mentre siete seduti sul letto della cascata in secca, rimane il leggero peso di quella testa incastrata tra il tuo braccio e il tuo petto, la prima notte insieme.
Dei giorni felici rimangono generiche sensazioni, immagini nitide, sì, ma che non puoi toccare. Puoi tentare, con non poca fatica, di ricordare il calore di quell’abbraccio, il brivido provato per quella carezza, la prima, magari, e puoi tentare di rievocare il peso esatto di quella testa, l’odore dei capelli in cui il tuo naso era immerso, ma è faticoso, appunto, e fittizio.
Dei giorni tristi, invece, oltre alle immagini, ai profumi sentiti per l’ultima volta, alle voci mai più riascoltate, rimane soprattutto quel taglio, quel malessere che anche se è tutto passato, anche se hai archiviato da un po’, ogni tanto torna e non devi sforzarti molto per sentire il pulsare di quella ferita, il vuoto che si è creato attorno ai lembi un po’ sfrangiati. Ti sembra una ferita reale, un vuoto nascosto da qualche parte dentro di te, il respiro si fa pesante, faticoso, mentre la mente, senza impegnarsi troppo, ti sbatte in faccia tutto ciò che è stato e non è più.
Per fortuna, però, quest’anno hai già fatto il tuo bilancio. Qualche mese fa hai riavvolto l’anno passato, con tutti i suoi stravolgimenti, e li hai semplicemente messi al loro posto, quel grande archivio sparso tra la tua testa, il tuo album di foto, e i tuoi taccuini. Non hai mai pensato che si possa fare ordine in certe cose, ci sono vuoti che non si riempiono, mali che non si tengono a bada, dolori che non si curano, ma tu, piano piano, hai fatto ordine, ti sei preso il tuo tempo e il tuo spazio per mettere le cose al loro posto, ogni cosa nella sua scatola con una bella etichetta sopra. Hai archiviato così, una alla volta, le faccende dell’ultimo anno. E non hai neanche provato a sigillarle, le scatole, né hai tentato di cacciarle nel ripiano più oscuro della stanza più remota della torre più alta. Non serve a niente, lo sai.
Hai tenuto le scatole appena socchiuse, e vicine, così da averle sempre a portata di mano. Per prenderne il contenuto al bisogno, certo, ma senza fare altri calcoli, solo per pensare, riflettere, togliere un po’ di polvere e poi, di nuovo, chiudere la scatola. Per questo, adesso che è dicembre, non ti serve alcuna calcolatrice, non hai bisogno di fermarti a guardare indietro.
Tutto quello che è stato è lì accanto a te, ogni cosa nella sua scatola, tutto in ordine, ad eccezione di qualche coriandolo sparso, qualche cosa appesa, nascosta in un libro o appoggiata sul comodino. Per non parlare, poi, delle cose che ogni tanto prendono vita propria, escono di soppiatto dalla scatola per comparire davanti ai tuoi occhi, nei tuoi sogni, notte e giorno. A parte queste eccezioni, e qualche coccio che continui a raccogliere in giro, a parte qualche quadro un po’ storto nonostante il ricordo di averlo raddrizzato poche ore prima, ormai non serve fare altri bilanci per capire che un po’ sei tu, quello malinconico, e un po’ è l’annata a non essere stata proprio beata.
Ma visto che è dicembre e non devi più fare bilanci, puoi pensare solamente all’anno che viene, ai giorni che arrivano. Ci sarà la neve?, ti chiedi. Anche se dovresti pensare agli obiettivi, a chi sei ora rispetto a quello che vuoi diventare, anche se dovresti scrivere una bella lista di buoni propositi, ti viene da chiederti soltanto una cosa non così rilevante, Ci sarà la neve? Ti scordi dei bilanci, ti scordi dei propositi su cui dovresti ragionare, finisci col pensare quasi solo alla neve.
Insieme alla neve pensi alla casina, perché viverci quando è tutto bianco, quando la stradina si riempie di ghiaccio e devi parcheggiare lontano, sulla strada in salita, è tutt’altra cosa. Non migliore, né peggiore, semplicemente una cosa diversa, una cosa, però, che ti piace tanto. E insieme alla neve pensi alle altre piccole cose di cui ci si scorda sempre, perché si è troppo concentrati a fare bilanci, a stilare liste di pro e contro, liste di buoni propositi che sappiamo non rispetteremo, per accorgerci che, in casa, c’è il camino acceso, e la cantinetta è piena di vino, e dalla trave maestra del soffitto che regge la camera da letto pende una coppa piacentina, talmente bella, lì appesa, che non ti viene neanche voglia di mangiarla.
Sei stato per così tanto tempo così impegnato a riflettere sui viaggi non fatti, sui propositi vani, che ti sei perso, a volte, quei viaggi che avevi fatto, quei propositi che avevi rispettato – contro ogni aspettativa, senza quasi accorgertene. E non ti sei accorto, tante volte, che quel poco che ti serviva ce l’avevi già. Non intendi tanto il tetto, la casa, e neanche pensi alla cantinetta piena di vino, comunque sempre presente, ma intendi gli amici belli e sparsi che ti aspettano, che tu aspetti, quelle persone per cui hai fatto chilometri e chilometri e che hanno fatto, per te, chilometri e chilometri.
Pensi a tutti i letti, i divani, i materassini in cui hai dormito, pensi a tutte le porte e le braccia che si sono aperte, per te, per accoglierti senza chiedere niente in cambio. Sei sempre stato troppo concentrato su ciò che hai perso per renderti conto di tutto ciò che avevi. Ma ora che ci ragioni su, anche se ti sembrano frasi da Baci Perugina, Solo quelle so scrivere, pensi, ora che guardi le luci di Natale sui balconi della città, sotto di te, non senti più il bisogno di fare bilanci, di scrivere buoni propositi.
Un anno fantastico, pensi, è stato un anno fantastico, con tutte quelle braccia aperte, con tutte quelle porte che si aprivano per farmi entrare, senza chiedere chi fosse a bussare e perché stesse bussando in orari notturni, nelle pause pranzo, e nei giorni di festa.
Ti rimane solo da salutare l’anno e ringraziare, nonostante tutto, come hai fatto nei ringraziamenti di quella tesi, quella che ora bruceresti dall’inizio alla fine, ad eccezione dell’ultima pagina, l’unica salvabile, quella dei ringraziamenti:
Ringrazio chi c’è.
Ringrazio chi c’è stato.
Ringrazio chi non c’è più.
Ringrazio chi non c’è potuto essere.