Di libri sottratti e macerie da raccogliere

Di libri sottratti e macerie da raccogliere

È arrivato il momento di raccogliere le macerie, ammucchiare i pezzi in un angolo e metterli, piano piano, uno alla volta, dentro al sacchetto della spazzatura. Non si può usare la paletta, in certi casi, né nessuno può aiutarti. Sei in quel momento della vita in cui devi pulire, tu, da solo, a mani nude, fare manutenzione, trovare l’equilibrio. Come in una partita di tennis, o di qualsiasi altro sport, quando stai vincendo e puoi decidere se osare, tentando di allungare il vantaggio ma rischiando di sbagliare, oppure mantenere, buttarla di là senza strafare, tenendo alta la qualità dello scambio ma con moderazione, senza eccessi.

A dire il vero la realtà è un po’ diversa, perché invece di star vincendo hai già perso tutto, e stai semplicemente tenendo alto il livello, tu, che ormai hai perso, e lo fai per non dargliela vinta, per fargli vedere che giochi, sei vivo, oggi perdi e domani gli morderai il collo all’avversario, alla vita. E forse non morderai il collo di quella ragazza, quella che non vedi più e a cui piaceva tanto, ma ne arriveranno altre a cui piacerà lo stesso. Non perdere la dignità, ti sei ripetuto prima di incontrarla per l’ultima volta, e quando ti ha ridato le chiavi, Eccole, come stai?, chiese, Bene, tu?, Bene. Poche parole di cortesia, fredde, sguardi bassi che stentavano a incrociarsi, una stretta al petto, il tuo, del suo non sai più niente, e poi, Se questo è quanto, disse, Ciao, e tu subito a ripeterlo, Ciao, neanche un addio, anche se lo era. E se n’è andata.

Tutto è in frantumi, mia Cara, i frammenti sono volati da una parte all’altra e mi è impossibile raccoglierli se non in questo circolo forzato in cui continuo a girare fino alla nausea e all’idiozia, finchè esso non si aprirà in un punto ignoto. Che però non sarà quello di un’altra vita, ma di questa. Perchè non è dall’altra parte che ti sto parlando ma da questa, anche se essa appartiene insospettabilmente ad un’orbita diversa dalla tua.

Poi ti sei incamminato anche tu, iniziando da subito a raccogliere a mano nuda i pezzi sparsi, i frammenti di castello costruiti in due, insieme, ma distrutto da lei. E ora, dopo mesi, non hai ancora finito di raccogliere i pezzi, perché li puoi raccogliere soltanto tu, da solo. E mentre ti pieghi per prenderli ogni giorno, ogni mattina appena sveglio, ad ogni pranzo osservando le sedie vuote, ogni sera guardando il letto sfatto solo per metà, mentre ti pieghi a prendere quel frammento di cui ti sei accorto il giorno o la sera prima, pensando al domani, Domani tocca a te, caro mio, ecco che chinandoti ti accorgi di qualche coccio rotto sotto a quello appena recuperato, frammenti che non avevi visto in precedenza.

E così ogni mattina, ogni giorno, ogni sera, ogni volta che ti abbassi a raccogliere un pezzetto di castello per metterlo via, ne appare un altro, grosso o piccolo che sia, e sta andando avanti da così tanti mesi che finisci per pensare di star sbagliando qualcosa. Più pulisco più è sporco, pensi, e pensi che non renda l’idea visto che non c’è niente da pulire, c’è solo da liberare la strada dal castello imploso, perché prima di prenderne altre, anche opposte, bisogna comunque liberare quella, prima, non vale rigirarsi, far finta di nulla, non si lasciano le cose a metà, perché quando ci provi finisce sempre che altre frane, altri crolli invadano quella stessa strada che hai trascurato. Allora il dolore è doppio, la fatica anche, e tu, ancora, solo.

Ci pensi mentre guidi la moto, il corpo che si inclina leggermente a destra e poi subito a sinistra per seguire la doppia curva della strada di montagna, una strada che è una, unica, o vai avanti e sali o torni indietro e scendi, non ci sono biforcazioni, bivi, solo quella strada, la stessa, una strada in cui sembra di non potercisi perdere ma smarrirsi, quello sì, è semplicissimo. E se dovesse esserci una frana, un castello imploso lungo la via, puoi tentare forse di tornare indietro, oppure ripulire tutto. Ma sai che non hai scelta.

Speri di non trovare una frana oltre alla prossima curva, oltre alla nebbia che la oscura in parte, la velocità è elevata e rischieresti di finirci contro, cadere e nel migliore dei casi farti molto male. Per questo decidi di rallentare, scali marcia, e cerchi di goderti quello che vedi attorno, adesso che vai più piano è tutto più nitido, tutto più chiaro, anche se i pensieri, a quella velocità, sono più presenti, pensati a voce più alta, ma mantieni l’andatura, senza strafare, solo tu e la moto, quella che sogni da quando hai letto quel libro che non hai più.

Qualcuno direbbe che ti è stato rubato, sottratto, e in realtà lo dici anche te, ma più che furto è un prestito volutamente non restituito. Che è un furto, in pratica, a pensarci bene, e di quelli peggiori, quei furti che non puoi denunciare perché sai chi è il colpevole, avresti anche le prove, ma semplicemente non ci puoi far niente perché per loro, per lei, è soltanto un libro, mentre per te, e per pochi altri, quello è Quel libro. E poi, comunque sia, i libri si ridanno ai proprietari, in mano o per posta, il modo lo si trova sempre per evitare di lasciare certe cose in sospeso, tu lo sai bene visto che devi spedirne ancora uno, per chiudere una faccenda, ma questa è un’altra storia.

Pensando al furto, o quel che è, prendi una curva troppo stretta, la chiudi in anticipo e ti accorgi, imprecando, di occupare totalmente la corsia opposta. Per fortuna non sta arrivando nessuno, pensi, però è pericoloso, dico io, stavolta è andata bene ma se dovessi trovarti di fronte, che so, un camion carico di scaglie di marmo bianco di Carrara, o un camper pieno di giovani tedeschi in gita sui monti, beh, puff, fine di tutto, davvero.

Ecco risolto in un attimo il problema del furto, pensi. E invece no, non ci sono camion, nessun camper, e hai tutto il tempo di rimetterti nella corsia giusta, alzare la visiera del casco per prendere un po’ d’aria fresca in viso, e pensare alla cazzata che hai appena fatto, Per uno stupido libro, pensi. Ma era Quel libro, ancora, e come quello anche altri sono spariti, sottratti?, rubati?, non lo sai. Sai che gliene hai prestati un po’, una piletta scelta di libri più o meno importanti, e quando hai sentito sbattere una porta anche se eri altrove, quando hai capito che se n’era andata, sei andato a raccogliere i primi resti.

Hai trovato la stanza vuota, svuotata, solo piccole macerie come il materasso in vista, senza lenzuola, un biglietto che le avevi scritto tempo prima, la piletta di libri vistosamente più piccola di quella che avevi lasciato. Hai cominciato col raccogliere i libri rimasti, per metterli al loro posto nella tua libreria, e osservando rapidamente le copertine c’hai messo poco a capire che i libri rimasti non erano Quei libri, ma libri secondari, non così importanti per te, né per voi. E finito il lavoro hai osservato la tua libreria, il tuo ordine che capisci solo tu, e hai visto gli spazi che chiunque potrebbe vedere, i vuoti risultanti da un furto.

Pensando a quei vuoti potresti rischiare, di nuovo, di sbagliare una curva, invadere la corsia opposta in un momento meno fortunato, così pensi ai libri che invece ti sono rimasti, a quelli che per qualche motivo rileggi una volta all’anno, come minimo, a quelli che lei si è portata via senza però portarsi via quello che a te hanno lasciato, dentro, quei libri, ai sogni che ti hanno fatto fare le notti in cui sei riuscito a dormire. Pensi ai sogni, sì, a quei sogni che ti hanno riempito le giornate, hanno eretto e addobbato castelli, sogni a cui non vuoi rinunciare perché, ogni tanto, riempiono anche i vistosi vuoti di uno scaffale.

A volte una soluzione sembra plausibile solo in questo modo: sognando. Forse perché la ragione è pavida, non riesce a riempire i vuoti fra le cose, a stabilire la completezza, che è una forma di semplicità, preferisce una complicazione piena di buchi, e allora la volontà affida la soluzione al sogno

E anche se non si può vivere da una parte e dall’altra, nel sogno e nella realtà, al primo bisogna cedere, ogni tanto, affinché il resto fili liscio, acquisti valore, magari senza farsi trasportare troppo dalle immagini mentre si è alla guida. E potresti dire di essere quasi contento di raccogliere quelle macerie, anzi, di tutte quelle raccolte in tutta la vita, perché ci sono detriti quando si è in grado di sognare qualcosa. E la vita, senza il sogno, è soltanto una triste, vuota passeggiata. Ma a te piace la moto.

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