Di donne, uomini e bambini morti ammazzati

Di donne, uomini e bambini morti ammazzati

Non capisci più il senso. Una bomba cade sulla città e te, che sei al sicuro, nella città che le bombe le lancia, non capisci più il senso. Cos’è mio e cos’è tuo, di chi è questa terra che, si sa, non può essere tua, né dei tuoi figli, né di nessun’altro perché quando tu non ci sarai più, e quando non ci saranno più i tuoi figli, la terra sarà ancora lì, sempre nello stesso punto. Come puoi dire di possedere qualcosa che esiste da molto prima di te, e che continuerà ad esistere per molto tempo dopo che l’ultimo dei tuoi discendenti non ci sarà più. Nemmeno il suo sangue, che la macchierà per un piccolo tratto, durerà più del tempo di una pioggerellina leggera.

Ieri, però, non la pensavi così. Ieri, prima di vedere i loro bambini morti ammazzati, pensavi che l’unica, vera soluzione, fosse quella di sterminarli. Radere al suolo quelle polverose macerie in cui vivono e cancellarli. Puff, un semplice colpo di scopa. Occhio per occhio, e poi la pace eterna. Questo pensavi, prima di vedere i loro bambini morti ammazzati. Morti ammazzati proprio come tua moglie, i tuoi, di bambini, i tuoi amici, i loro figli.

Adesso, cerchi di capire il senso di annaffiare una terra che non può essere di nessuno col sangue di chi non potrà più vivere. Non potrà più viaggiare, fare figli, essere felice. Non potranno niente, da morti. E non ne capisci più il senso.

Ieri pensavi che ogni tuo concittadino valesse dieci dei loro, se non di più. Non tanto per la fede, che ormai, si sa, interessa poco. Lo dicevi più per un ragionamento che a te pareva logico, naturale: loro bestie e noi uomini avanzati, loro terroristi e noi democratici, loro assassini, e noi… Ecco, noi come loro, hai iniziato a pensare proprio adesso, vedendo un video che nessun telegiornale nazionale ti farà vedere, ma che ti è stato girato così, per caso, da un conoscente con cui non parli da anni. E non ci puoi credere.

Lui è uno di loro, pensi, ma mentre guardi il video di un bambino che piange con in braccio la sorellina morta, non riesci a distinguere la sua lingua dalla tua, non riesci a riconoscere dei tratti diversi dai tuoi, perché i loro volti sono nascosti dalla polvere, dal sangue. Non riesci proprio a capire se sia uno di loro, o uno di voi, quel bimbo, finché non inizia a singhiozzare forte, tremando, proprio come hanno fatto i tuoi figli vedendo la madre uccisa da loro, dai terroristi, con una scarica di mitra. Vedi che non riesce a trattenere il tremito, è scosso dai singhiozzi, però non escono lacrime dai suoi occhi. Noi, pensi, Almeno quelle le avevamo ancora.


Apri gli occhi, senti il calore delle coperte, vedi l’alba che si affaccia tra le fessure della tapparella, e tiri un sospiro di sollievo. Non sei nessuno di loro, né terrorista né democratico, non sei proprio lì, a dirla tutta, ma in tutt’altra parte del mondo, su un comodo materasso Ikea, in un appartamento caldo, con vista mare. No, non per questo sei assolto, lo sai. L’hai sentito cantare molte volte, l’hai cantato molte volte pure tu.

Pensi agli unici botti che senti, tu, quelli di capodanno, una volta all’anno, e più spesso quelli delle cave che servono a rubare blocchi di marmo dal monte. Che ipocrita, ti dici. Poi, pensi alle tue lacrime, quelle sparse in giro per l’amore, ah, l’amore, la gente muore e tu, l’amore…

C’è chi uccide, per amore, dice qualcuno. Tu pensi che l’amore sia altro. Qualcosa che non sai dire, spiegare, ma è quella cosa che ti fa alzare la mattina nonostante i bambini morti ammazzati, non importa figli di chi. L’amore è quel qualcosa che, anche quando non c’è, ti fa dire, Bene, forse è per questo che ha senso esistere. E resistere.

Che sia nel silenzio di una stanza cittadina, o nel rumore di una folla, pensi di non fare mai abbastanza. Mentre ti occupi dei tuoi piccoli problemi quotidiani, delle tue piccole lacrime, dei tuoi piccoli calcoli di bilancio, delle tue piccole fotografie di insulsi tramonti… mentre ti occupi del tuo piccolo mondo sai che là fuori, in ogni momento, qualcuno uccide e qualcuno è ucciso. Mentre tu aiuti la vecchietta a compilare la costatazione amichevole, mentre regali piccole anatre come simbolo d’affetto, mentre fumi un sigaro sull’ultima vetta raggiunta, a qualcuno, altrove, viene tolta la vita. E non riesci a smettere di pensarci

Ci pensi ogni giorno, ormai, da anni. Da anni, ormai, ti sei reso conto che i tuoi piccoli problemi, e i piccoli problemi delle persone attorno a te, sono aria stantìa. La gente uccide, la gente viene uccisa, mentre tu, davanti al caminetto a grigliare un piccolo filetto, senti tutto, assorbi tutto, e lasci sedimentare mentre rimani in silenzio. Non capisci più il senso di continuare, qui, mentre di là si ammazzano. A volte proprio nella stanza accanto, tra fratelli, tra amici, tra marito e moglie. Non capisci più il senso di continuare a stare quassù, mentre lì, neanche lontano da te, un tuo coetaneo uccide la sua ex-ragazza. Non sai che fare, e rimani in silenzio a pensare, a cercare una soluzione. Non puoi far finta di niente, ma non sai che fare.

Non cerchi neanche di assolverti, lo sai. Colpevole tu come tanti altri, chi più, chi meno. Però il silenzio, dopo le notti insonni a pensare a tutti quei bambini morti ammazzati, a quelle donne, ragazze, uccise non per amore, ma per odio, il silenzio dopo tutto ciò, deve essere rotto.

Per questo, ad un certo punto, inizi a parlare. Probabilmente non parlerai a voce alta, perché le urla non le ascolta più nessuno. E chi urla, di solito, sono proprio loro, gli altri. Magari deciderai di sussurrare qualcosa. Ma lo farai su uno stupido foglio di carta, o su uno stupido blog, così da registrare le parole, conservarle, sperando di poter dire, un giorno, rileggendo, Ecco, forse da quelle morti qualcosa è cambiato. E anche se non dovesse servire a niente, anche se te ne andrai come tutti gli altri senza lasciare neanche un piccolo solco sulla terra, te ne andrai un po’ più leggero per aver fatto quel poco che potevi fare, per aver detto quel poco che potevi dire.

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