Sei arrivato in stazione troppo presto. Prima, sei passato a spedire alcuni libri, hai consegnato il tuo primo rullino, hai mangiato un ghiacciolo nel punto panoramico che ti piace tanto e poi, con tutta calma, sei andato in stazione. Ma il treno parte tra un’ora, e non ti rimane che sederti al bar, in mezzo a tutti questi turisti stranieri, arrossati da un sole a cui non sono abituati, il sole di casa tua, turisti così riconoscibili per i loro cappelli di paglia e i cappellini bianchi, per i trolley giganteschi.
Leggi qualche pagina del libro che ti sei portato dietro, ma non ci capisci niente. Sei costretto a rileggere le stesse righe più e più volte prima di ritrovare il filo, la testa è altrove e non puoi farci niente. A volte devi lasciarla fare, non puoi combatterli certi pensieri. Per questo chiudi il libro e lasci che la tua mente faccia quello che si sente di fare. Adesso sta assemblando immagini di tutti quei viaggi che non avete fatto, tutti quei viaggi che non farete mai. I saggi, o i citrulli, dicono di concentrarsi su ciò che si ha, su quel poco che si è potuto fare. E te, per carità, ne sei grato, ma non riesci proprio a non pensare a quel viaggio sui monti che non farete mai.
Era anche stato programmato. Ma si sa, le cose cambiano, i fatti della vita obbligano a spostare i programmi continuamente, e in quella casina non ci andrete più. Non insieme. Ti chiedi se sarebbe cambiato qualcosa, se ci foste andati. Sai anche che due più due fa sempre quattro in qualsiasi parte del mondo, indipendentemente da chi fa la somma, da dove la si fa. Però la vita non è questione di somme e sottrazioni, e non c’è matematica in quella strana cosa che si chiama amore, e che non sai cos’è ma sai cosa non è. Evidentemente, stavolta, non era. Quindi è inutile fasciarti la testa, ormai è andata. E non torna.
Le immagini di quel viaggio che non farete mai, però, continuano ad attraversarti la mente, e un po’ ricalcano scene davvero vissute, con lei, con altre persone, e un po’ sono inedite, scene solo sognate. Ma quello che conta è che sia suo il viso che ti sorride dalla porta di quella casina che non vedrà mai, al tuo ritorno dalla passeggiata che farai, prima o poi, ma senza nessuno ad aspettarti sulla porta. Suo il corpo chinato a pulire quelle scale così strette e strane, mentre te spazzi il pavimento, e le china su quelle scale che non dovrai mai spiegarle come fare. Non dovrai dirle di partire col piede destro, per ritrovarsi poi in maniera naturale ad appoggiare il piede giusto sulla sporgenza corrispondente. Che strane scale, le scale di una volta.
Alcune sono scene vissute con altre persone, qualcuno ancora presente, qualcun altro ormai un fantasma che non senti più, ed è strano che questo garbuglio di realtà e fantasia, questo ingorgo della mente in cui le immagini scorrono lisce mentre tu, seduto tra i turisti ignari di tutto coi loro cappellini e i loro enormi bagagli, mentre tu, dicevo, qui e ora, senti un nodo alla gola per qualcosa che non hai neanche veramente vissuto.
È strano, eri abituato alla nostalgia del presente felice, dell’attimo appena vissuto, la saudade, la chiamano, ma questa cosa è diversa, e un po’ è rimpianto e un po’ no, qualcosa che poteva accadere come no, e non dipendeva solo da te.
Mancano ancora quaranta minuti all’arrivo del tuo treno, e inizi a stancarti di questi sogni ad occhi aperti, di questo film malinconico. Ti guardi intorno e cerchi di capire chi sia questa ragazza seduta nel tavolino accanto al tuo, o quella signora vestita di un leggero e lungo abito bianco, seduta accanto all’ingresso del bar. Niente di più di un gioco che fai da sempre, da solo, e lo facevi pure con lei, ogni tanto, nell’attesa dei pochi aerei presi insieme, nelle sale d’aspetto delle stazioni. Da quando hai iniziato a farlo con lei, questo gioco, hai compreso che certi giochi sono più divertenti in due.
Certi giochi sono più divertenti in due, sussurri, lo sguardo perso a fissare un punto davanti a te, senza vederlo realmente. Poi ti accorgi che la ragazza del tavolo a fianco ti sta fissando, e non puoi far altro che sorriderle come se nulla fosse, come se non stessi realmente parlando da solo pensando ai giochi e ai viaggi che non farai. Lei ricambia il sorriso, e forse non crede che tu sia pazzo.
Ora che la osservi meglio noti che non c’è nessuno con lei. Sta bevendo un cappuccino, mentre guarda il telefono sul tavolo. Ha un cappello di paglia appoggiato alla valigia, una borsa morbida non così grande. Viaggia da sola. Vorresti pensare a tutti i possibili perché, a cosa potrebbe esserci dietro, ma sai che ti verrebbero in mente solo trame tristi e malinconiche. E il bello è che non conta il momento che stai attraversando, non cambia essere felice o meno, le trame che immagini sono così, tristi e malinconiche.
È troppo presto per andare al binario ancora vuoto, così prendi le cuffiette e cerchi di distrarti con quelle, con la musica, anche se sono poche le canzoni che non parlano d’amore… Questi maledetti cantanti, pensi. In effetti parlano solo di una lei, o di un lui, spesso amanti perduti, e a volte cantano al tu come le canzoni che canticchi ultimamente sotto la doccia, canzonette che tra qualche tempo ti scorderai ma che fanno bene all’umore, quando sai che puoi dedicarle mentalmente a qualcuno.
Baby, baby, you’re my sun and moon
Girl, you’re everything between
A lot of pretty faces could waste my time
But you’re my dream girl
Canzonette, già. Canzonette che ora ti fanno pensare a tutti quei piccoli vuoti che non si possono colmare, Forse sono gli stessi vuoti che sta affrontando quella ragazza, pensi. O forse è una di quelle persone che preferisce giocare da sola, preferisce il solitario alla briscola. Ne esistono. Un po’ le invidi, un po’ vorresti urlare loro “Oh, sveglia, non sapete cosa vi state perdendo”, perché è sempre più bello, in due. Qualsiasi gioco sia. Anche il gioco del silenzio.
Lo sapevi già, ma ora che sei costretto a giocare da solo lo comprendi meglio. Eppure mancano ancora venti minuti all’arrivo del treno e continui a vedere lei in quella casina. Che strani scherzi che fa la mente, pensi. Forse queste scene le hai già immaginate, prima che il viaggio fosse annullato, prima di prenotare questo treno per andarla a salutare, probabilmente per l’ultima volta. Per questo ritornano, e così nitide. I soliti castelli in aria. Sei un maestro, nel crearli. Poi, se a costruirli non sei solo, se mentre immagini ti aiutano anche a farlo, diventano così elaborati, così vividi da riuscire a immaginare nei dettagli viaggi mai fatti, luoghi mai visitati. Per ore.
Dopo l’attesa del treno, piena di queste immagini che mai saranno, ci sarà l’attesa del viaggio, un viaggio che ti sembrerà non finire mai, e quando il treno sarà arrivato al capolinea, invece, ti sembrerà arrivato troppo presto, ti sarai scordato le cose che volevi dirle, e forse perderai tempo prima di arrivare da lei, suonare al suo campanello e aspettare la sua voce, Sì?, per risponderle, per l’ultima volta, Io, e perderai tempo prima di salire perché lo sai, non vuoi salutarla, davvero. Ma rimandare gli ultimi saluti è sempre un male, e salutare il male minore.
Vorresti riavvolgere il nastro, ricominciare, goderti di nuovo i primi momenti felici, e controllare andando a ritroso il punto di rottura, il momento in cui qualcosa è cambiato, quando senza apparente motivo i due binari paralleli hanno iniziato ad allontanarsi. Non sai cosa, né perché, sai solo che da un momento in poi quella tensione che si sente, si tocca quando due persone che si pensano, si vogliono, si desiderano, quando due persone così si guardano negli occhi. Non ci fosse mai stata, questa tensione, pensi, ma c’era…
Sai che probabilmente non cambierebbe niente. Certe cose o sono, o non sono. E per quanto faccia male non sapere il perché, non sapere se forse, invece di questo, tu avessi fatto quello, magari… Ma no, per quanto faccia male non avere risposte bisogna accettare che, in questa vita, non c’è sempre una risposta.
Per questo non sei così disperato. Un po’ triste per averci creduto, in certi castelli, un po’ malinconico per il nuovo vuoto da colmare, ma niente di più. Triste e malinconico come le trame che ti vengono in mente, come la storia dietro a questa ragazza del tavolo accanto al tuo che ora, alzandosi, ti sorride e se ne va a prendere il suo treno, per chissà dove, mentre per il tuo, di treno, dovrai aspettare ancora dieci minuti.
Però sai che il tuo, almeno, ti porterà da lei, anche se solo per l’ultima volta. E poi puff. Ma sei contento di rivederla, nonostante tutto. E dopo questo treno, dopo di lei, il viaggio continua. Non sai niente di cosa sarà dopo, ma qualcosa sarà.
Perché è questo il bello della vita, non sai mai cosa farai domani, le persone che incontrerai, i luoghi che potrai visitare. E altre volte questo non sapere cosa farai domani, chi incontrerai, né sapere che luoghi visiterai, a volte è questo il brutto della vita. Ti alzi dal letto, è un giorno nuovo e non sai più niente.
Il treno adesso sta per partire, e mentre sali pensi al ritorno, pensi a quando andrai a dormire e non riuscirai ad addormentarti fino a tardi. E pensi alla mattina dopo, quando ti alzerai dal letto, sarà un giorno nuovo e non saprai niente. Si ricomincia, ti dirai, sorridendo sornione. E adesso pensi che forse è l’ora di smetterla di scrivere cose tristi e malinconiche, per questo, mentre il treno parte, inizi a riflettere a un finale diverso per questa strana storia. Lasci stare il viaggio che non farai mai, con lei, e inizi a pensare a quelli che farai, alle persone che incrocerai lungo la strada, ai viaggi che farai verso luoghi che ancora non conosci, con persone che devi ancora incontrare. Libero.
Hard times come, hard times go, è proprio vero.