Non devi farti accecare dalle apparenze. A Genova tutto è nascosto. Non abbiamo piazze con le fontane né palazzi con facciate sfolgoranti. Tutto l’oro e i tesori artistici sono nascosti dietro spessi muri di comune calcare grigio. Un vero uomo d’affari nasconde la sua fortuna in una vecchia calza e gira per la strada vestito di stracci nella speranza di ricevere elemosine.
Ad una lettura superficiale, il libro La Superba di Ilja Leonard Pfeijffer potrebbe apparire come Genova: nessuna “facciata sfolgorante”, nessun tesoro evidente, ma vicoli bui, stretti e puzzolenti, così come il libro sembra duro, greve e non sempre politicamente corretto. Ma anche assurdo, il libro come la città, perché nel libro l’autore può incappare in una gamba umana passeggiando nei vicoli mentre oggi, negli stessi vicoli, si può morire per un freccia scoccata da una finestra. Eppure, leggendo tra le righe, non serve neanche troppo impegno per vedere l’oro, cioè l’amore per la città in cui l’autore olandese ha deciso di vivere.
Allo stesso modo basta poco per capire la densità di un testo che si presenta come una vorticosa riflessione sull’Italia in generale e sulle migrazioni in particolare, con Genova emblema, simbolo e sfondo. Riflessioni scritte, poi, da un migrante consapevolmente privilegiato, arrivato in maniera regolare in aereo e non su un barcone come la maggioranza dei migranti che affollano la città.
La Superba, Genova città dell’assurdo
La Superba è uno e tanti libri assieme: romanzo d’avventura e di formazione, romanzo epistolare, metaromanzo, autobiografia, saggio, denuncia e probabilmente altro. Ma è in primis una guida all’uso della città, Genova, una città grottesca in cui avvengono cose inverosimili. In questo intrico l’autore mette insieme vicende reali e riscontrabili (le vie, le piazze e i bar citati sono tutti reali, esistono) e storie assurde che sembrano reali solo perché ambientate in una città altrettanto assurda:
Quello di cui talvolta mi preoccupo è che alcune delle situazioni in cui finisco qui, e molte delle persone che incontro per davvero in questo scenario straniante, sono così variopinte, per non dire grottesche, che corrono il rischio di essere poco credibili dal punto di vista narrativo.
Se trasformerò mai questi appunti nei quali ti racconto le mie vicende attenendomi alla realtà, in un romanzo, sarò costretto a violare la realtà in modo sostanziale […]. Ma la cosa più importante è che sarei obbligato ad annacquare pesantemente la verità, perché se la raccontassi così com’è nel modo in cui la racconto a te, tutti penserebbero che l’ho inventata.
La vicenda, come la città, è affollata di persone e personaggi improbabili che l’autore incontra per lo più casualmente, e l’incontro tra realtà così peculiari sfocia in una miriade di piccoli e grandi eventi, piccoli inciampi e sbronze importanti. Ma un elemento, su tutti, spicca: la capacità dell’autore di rendere visibile una città così ambigua e incoerente, una città-labirinto dai “centenari denti guasti”, coi vecchi edifici di cui lui stesso sente il “digrignare dei denti”; un labirinto vivente e vissuto nel suo sbriciolarsi, in cui “nel complesso tutto era marcio, a pezzi e in rovina. Ma è così da secoli, e fiero di esserlo”.
Eppure, in una città da un lato così mostruosa, l’autore-protagonista decide di viverci:
Ma voglio appartenere a questo mondo. Voglio vivere nel labirinto come un mostro felice. Voglio fare il nido nelle viscere della città.
Genova e le migrazioni, tra privilegi e venditori di rose
Ma Genova è anche la casa di una moltitudine di sommersi, di una folla di persone in viaggio, migranti in una città di porto, che cercano invano di integrarsi in quell’Europa così diversa da come se l’erano immaginata. Anche l’autore è un migrante, e nonostante i privilegi di essere bianco, europeo e non povero le difficoltà che si trova ad affrontare nel tentativo (spesso vano) di integrazione non sono poche.
Figuriamoci, poi, se a integrarsi deve essere uno che arriva poverissimo e dopo un viaggio estenuante, pieno di idee falsate sulle ricchezze che riceverà una volta sbarcato. Poco importa che sia un tecnico, un ingegnere o un operaio specializzato in patria, quando scoprirà che ad attenderlo ci sono solo muri e una folla di persone come lui, inizieranno i lavoretti, i favori, la vendita di rose. E niente sarà sufficiente a far credere alla famiglia lontana di avercela fatta, quindi arriveranno i debiti. Poi, due sono le strade: la morte o il malaffare (e quindi il carcere).
Il dramma di chi arriva povero, infatti, è l’impossibilità di tornare a casa se non da ricco. Se ciò non è possibile, l’unica alternativa è scomparire. Per il poeta straniero, invece, la situazione è diversa: sebbene non sia costretto a vivere con altre dieci persone né a vendere rose per comprarsi la cena, anche lui sa che non potrà mai essere del tutto integrato in una città come Genova. E a dirlo non sono io, ma un Don Rodrigo genovese, così perfettamente realistico da sembrare un calco di molti potenti:
Lei è a Genova, dove i miei amici e gli amici dei miei amici prendono le decisioni da secoli, e anche se vorrei farle di nuovo i complimenti per il modo in cui ha cercato di adottare il nostro modo di pensare, per noi rimarrà sempre un outsider. Peggio ancora, uno straniero.
Pfeijffer e l’amore
Ogni storia narrata nel libro è intrisa d’amore, di tutti i tipi. C’è l’amore per la città, così forte da decidere di raccontarla nonostante le difficolta, “Come farò mai a rendere plausibile che una città mi rende felice?”. Poi c’è l’amore per le donne, con cui si apre il romanzo: la prima parte, non a caso, si intitola “La ragazza più bella di Genova”.
E non è casuale se in una città così assurda l’uomo frequenta tutti i tipi di donne, e non solo quelle: la città, soprattutto la labirintica città vecchia, è una città vivace, vivissima nella sua decadenza, in cui anche le più derelitte hanno una certa dignità in quanto esattamente al loro posto. E il protagonista non si nega, né nega nessuno.
Però, l’abbiamo detto, in una città assurda le cose non procedono se non in maniera contorta. Per questo la ragazza più bella di Genova, la ragazza più bella della città più superba, rimanendo a lavorare nei vicoli, smetterà presto di fare la barista.