Fuga #1 – Forse era tutto troppo

Fuga #1 – Forse era tutto troppo

Non appena hai raggiunto la cima, prima ancora di guardarti attorno, ti sei seduto sulla base di cemento della croce. Ti sei messo la felpa blu per proteggerti dal vento, eri tutto sudato, e hai indossato il cappuccio. Sei rimasto un po’ con la testa china a guardarti quelle scarpe che mai, come quel giorno, avevano camminato. Poi hai alzato gli occhi per guardare davanti a te la vallata a strapiombo, la catena di montagne, il mare subito dietro. Si intravedeva anche una striscia di pianura, tra il mare e i monti, quella dov’era casa tua, e chissà che non fosse possibile vederla, casa tua, col suo tetto rosso come tutti gli altri, il suo giardino uguale a quelli vicini, l’erba sempre meno verde, di anno in anno.

Sei rimasto fermo per almeno cinque minuti, senza parlare, il tempo di riprendere fiato, di capire che ce l’avevi fatta, di convincerti che eri arrivato al traguardo, una volta tanto. Poi ti sei alzato e hai iniziato a guardarti intorno, passeggiando attorno alla croce, guardando il panorama circostante. Ancora strapiombi, montagne alte e basse, lontane e vicine, boschi infiniti, e paesi e boschi gialli e verdi e creste di roccia e pareti verticali e… e ti sei rimesso a sedere, il fiato di nuovo corto, la mano sinistra che tremava e il cuore, quel maledetto muscolo che si fa sentire raramente, ha iniziato a battere così forte da scuoterti il petto come un tamburo impazzito. Hai pensato che forse era tutto troppo per te, quella vista, quel panorama, quella camminata, quella compagnia, hai pensato che forse era meglio fermarsi a metà, sì, accontentarsi della piccola vetta precedente e non andare oltre, Ma come potevi fermarla, lei? Non ti è mai venuto in mente, e anche se fosse, lo sai, non potresti fermarla.

Allora hai iniziato a regolarizzare il respiro, inspirare col naso ed espirare con la bocca, contando uno due ad ogni respiro, uno due e l’aria dentro, uno due e l’aria fuori, così fino a calmare l’affanno, calmare il cuore, finché non hai più dovuto usare la bocca per respirare perché il naso bastava, il corpo non reclamava più tutta l’aria che chiedeva prima. Hai calmato il respiro e il cuore, in preda a una crisi che non ti era nuova, una crisi frequente che non ti sei mai riuscito a spiegare, e che ti viene solo quando sei di fronte a qualcosa di grande, di intenso, di sublime.

Ecco l’apice della giornata sublime: una crisi. Come a volerti confermare che quello che hai vissuto e visto, cioè per qualcuno una normale camminata con un’amica, dei semplici monti, delle normali vallate, degli stupidi boschi, ecco per te quello è tutto ciò di cui avresti bisogno per essere felice. E avendolo lì davanti, a portata di mano, il cuore tenta di scoppiare e il respiro si fa affannoso perché deve stare dietro al capo, al cuore, e tu non puoi far altro che sederti, pensare solo al tuo respiro, uno due e l’aria dentro, uno due e l’aria fuori, e non pensare ad altro.

Infatti poco dopo la crisi è rientrata, il respiro di nuovo regolare e il cuore, ancora una volta, appena percettibile. Però, quando hai alzato gli occhi, hai visto di nuovo quella piccola striscia di terra che separa le Alpi Apuane dal mare, e in quella striscia c’è casa tua, o almeno quello che ne rimane, ti sembra di vederla, è come tutte le altre ma è diversa perché era casa tua, col tuo giardino sempre meno verde e sempre bello, col giardino circondato da siepi e invaso dalle margherite, e col tuo tetto rosso, un po’ sbiadito dal tempo e di nessuna importanza se non per quel minuscolo evento, quella volta di tanti anni fa, quando ti ci sei sdraiato per vedere le stelle, ma era nuvoloso. Infatti non l’hai fatto mai più, non c’hai neanche provato, un tentativo era sufficiente. Comunque sì, ormai avevi visto quella che era casa tua, e non sei riuscito a trattenere le lacrime.

Allora hai incrociato le braccia al petto e le hai appoggiate sulle gambe, con la testa china a fissare i sassolini tra le scarpe consumate. Non sono scese tante lacrime, è vero, solo due. Poi hai sentito la voce amica di lei che ti chiamava, non hai neanche capito cosa dicesse ma è bastato, le lacrime si sono scordate del resto e hai iniziato a sorridere.

Dopo poco siete scesi di nuovo, in silenzio, il sole sempre più caldo, il cielo sempre più blu, e il tuo cuore ormai placato. Hai pensato a lungo a quanto sarebbe bello vivere sempre così, forse il tuo cuore si potrebbe abituare, non soffrirebbe più, basterebbe allenarlo al bello, alle emozioni forti e intense che solo la montagna ti possono dare, e allora andrebbe sicuramente meglio. Poi ti ricordi, purtroppo, che quell’escursione è solo una parentesi, una fuga dannatamente effimera. E ciò che più ti fa male è che la fuga, quella stessa fuga per cui lotti incastri e sbrani, è solo una fuga dalla vita che tu stesso ti sei costruito.

Una risposta a “Fuga #1 – Forse era tutto troppo”

  1. […] E pensare che devi ancora partire… però sai che non è tutto così tragico, perché nel viaggio attraversi l’appennino, fiancheggi monti colline e laghi, paesini arroccati sui cucuzzoli dei monti, tu e soltanto tu. E soprattutto, una volta arrivato, quando potrai finalmente spegnere il motore e toglierti il casco, ti basterà chiudere gli occhi e respirare una boccata d’aria amica per riprenderti, per cacciare via i pensieri, e ti dirai, Bene, eccomi, finalmente qui. E sarai così contento di essere lì, di tornare a vedere quegli occhi amici, quella terra sempre dura ma amica, e sarai talmente contento che per un attimo ti scorderai di casa tua, quella vera, ti scorderai di lei, chiunque essa sia, me la presenterai mai, un giorno?, ti scorderai delle viste dal tuo terrazzino che non sai quanto ti invidio, e per un attimo ti scorderai pure dei pensieri negativi che ti hanno corroso durante tutto il viaggio. […]

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