Il treno non è ancora partito e non manca neanche poco perché è mattina e tu, mentre lavori, pensi soltanto a quel treno che ti porterà via di qua, ancora, e ancora per un breve tempo, per una rapida fuga. Quel treno ti lascerà a casa tua, a quella vera, ma starai soltanto un’oretta, giusto il tempo di prendere la moto e fuggire da qui, fuggire da lì, ma non fuggire da te, che tanto ti segui sempre, ovunque tu vada, indipendentemente dalla velocità con cui acceleri. Da te non scappi, anche se ci provi.
Infatti vai ad assaggiare la terra, di cui non ricordi più il sapore, e ci vai in moto perché non si è mai troppo vecchi per fare delle cazzate. E parlando con lei di questa fuga le hai detto che fuggi verso te stesso, Bella questa, ha risposto, me la segno. Credo ti prendesse in giro, scusa se te lo dico. Però è in qualche modo la verità. Fuggi verso qualcosa che può riempirti, oggi che ti senti fluttuare nel nulla, tu e il nulla entrambi così vuoti, senza significato, e credi che parte del significato sia proprio laggiù, in quella terra che non tocchi da troppo tempo. O almeno lo speri.
Qualcuno, forse tu stesso, insomma qualcuno potrebbe dire che tu stia fuggendo dai problemi. Caro mio, se anche osassi pensare una cosa simile ti vorrei bene lo stesso. Lo sai meglio di me che non si fugge dai problemi. Puoi provarci, ma non si fugge dai problemi, e non perché sia sbagliato farlo, non so cosa sia giusto o sbagliato, io, mi ci vedi a dire, Ecco, questo è giusto e questo è sbagliato, tu buono e tu cattivo?, no, dai, non potrei. Mi limiterei a dire, Ecco, questo è uno stronzo, questo non lo è, ma non è proprio la stessa cosa. E comunque non è questo il punto, dai problemi non si fugge perché certi problemi ti inseguono come la tua stessa ombra, te li trovi appollaiati sulla spalla anche a mille chilometri da dove pensavi di averli lasciati.
E se anche tu facessi altri mille, diecimila, centomila chilometri, ti assicuro che su quella stessa spalla troveresti gli stessi problemi, con l’aggravante che il viaggio, in moto, è un viaggio solitario. Nessuna radio, nessuna canzone da cantare fino a farti bruciare la gola, nessuna voce amica, solo il motore al massimo dei suoi giri, il vento che ti sbatte a destra e a sinistra e rimbomba dentro al casco, il freddo e il caldo, i pensieri belli e brutti. Tutto questo è il bello del viaggiare in moto, e allo stesso tempo il pericolo, lo sai. Sei solo con te stesso, coi tuoi pensieri, coi tuoi problemi da cui non puoi fuggire. E i rumori non sono mai abbastanza forti da sovrastare il lavoro insano della mente.
Lo so che tu, prima ancora di partire con questo treno, stai già pensando ai pensieri che rimbomberanno nella tua testa, mentre il vento rimbomberà a sua volta nel casco. Anche questo, è vero, è un pensiero che rimbomba, ma non come quelli, no, non hai proprio idea. O forse sì, ce l’hai? Forse ti illudi di poter trovare risposte nella distanza, nel lavoro fisico, nel sapore della terra, o forse no. Forse ti illudi che quei problemi rimarranno appoggiati sul comodino di casa tua, quella vera, perché partirai in silenzio, senza farti sentire, certamente proverai a fregarli, invano.
Lo sai, in fondo, che non andrà così. Sai che il casco si riempirà di vento e frasi e ricordi e pure immagini, probabilmente di montagne lontane, ma se il viaggio sarà abbastanza lungo, e lo sarà, appariranno anche alcune città avvolte dalla nebbia, alcuni volti che vedi meno di quanto vorresti, rivedrai alcuni baci, sentirai certi odori ormai quasi svaniti. Sentirai frasi che non hai mai detto ma che, davvero, avresti voluto dire. E risentirai frasi dette da altri, da altre, che non sentirai più. E il vento non rimbomberà più nel casco perché certi pensieri occuperanno tutto lo spazio tra la testa e il casco, tutti gli interstizi, le fessure, tutta l’aria nell’imbottitura, e quei pensieri che non ti ripeto perché è meglio tacere, a volte, comunque intendo quei pensieri che per altri non sono così importanti, ma per te lo sono, saranno ingombranti. E saranno più importanti dell’imbottitura del casco, sì, più importanti della vita stessa, e più dolorosi, forse, della più brutta delle cadute in moto.
Perché se non sei il Dalai Lama, se non sei qualche profeta che vive nelle caverne in pace col mondo e con se stesso, se guidi per cinque ore in un momento così assurdo della vita su un rettilineo infinito, i pensieri negativi non possono far altro che prendere il sopravvento. Puoi combatterli, puoi tentare di erigere un muro provvisorio, e ci proverai, invano, ma se ti ricordi quella vecchia fiaba dei porcellini, sai che basterà lo starnuto di un lupo per tirare giù tutto. Tu, sì, proprio tu, sei abbastanza forte da resistere per cinque ore all’assalto di un lupo?
E pensare che devi ancora partire… però sai che non è tutto così tragico, perché nel viaggio attraversi l’appennino, fiancheggi monti colline e laghi, paesini arroccati sui cucuzzoli dei monti, tu e soltanto tu. E soprattutto, una volta arrivato, quando potrai finalmente spegnere il motore e toglierti il casco, ti basterà chiudere gli occhi e respirare una boccata d’aria amica per riprenderti, per cacciare via i pensieri, e ti dirai, Bene, eccomi, finalmente qui. E sarai così contento di essere lì, di tornare a vedere quegli occhi amici, quella terra sempre dura ma amica, e sarai talmente contento che per un attimo ti scorderai di casa tua, quella vera, ti scorderai di lei, chiunque essa sia, me la presenterai mai, un giorno?, ti scorderai delle viste dal tuo terrazzino che non sai quanto ti invidio, e per un attimo ti scorderai pure dei pensieri negativi che ti hanno corroso durante tutto il viaggio.
Sta a te, a te soltanto, decidere quanto far durare quell’attimo.