L’ultimo viaggio in scooter?

L’ultimo viaggio in scooter?

Un borbottio del motore, lo scooter che si spegne in mezzo alla strada. Così iniziano, a volte, i viaggi. Non quando il motore si accende e la moto parte, no. Il viaggio inizia quando ci fermiamo e, solo da fermi, capiamo di essere lontani.

Mi vantavo di avere uno scooter affidabile da 12 anni. Quasi 50 mila chilometri insieme attraversando tante regioni. Un viaggio in scooter dopo l’altro. «Non mi ha mai abbandonato» dicevo. Sapevo che poteva succedere, prima o poi. Aggiungevo sempre un ragionamento del tipo «se resiste anche questa volta, non mi abbandonerà mai».

Dovevo portare lo scooter da Forte dei Marmi a Milano. Circa 259 chilometri da farsi su strade statali e provinciali perché lo scooter non può andare in autostrada. Sarebbero state sei ore di guida se non si fosse aggiunta, all’ultimo, Caterina, e con lei la sua casa vicino alle Cinque Terre. Un rifugio sempre desiderato. Ecco che il trasporto di un mezzo da una città all’altra inizia a delinearsi come un viaggio fatto di soste, tappe, strade panoramiche e interfoni per chiacchierare col passeggero. Per il primo giorno solo due, tre ore di moto per 85 chilometri. Una passeggiata.

Fino a Framura nessun problema: l’Aurelia fino a La Spezia, poi le salite della strada a picco sul mare. Uno spettacolo raro per guidare con calma, godersi il panorama, respirare aria buona. Arriviamo col sole che cala, e ci tuffiamo al tramonto. Ci chiediamo perché non si possa vivere sempre così, sempre in viaggio, sempre al mare, ma le risposte non ci piacciono. Non possiamo far altro che immergerci per soffocare certi pensieri col suono del mare, col mare che entra nelle orecchie

Ripartiamo con calma il giorno successivo. Non abbiamo mai fretta di andarcene da certi luoghi. Però bisognava andare.

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La strada per Milano era molto semplice: fare il passo del Bracco cercando di sopravvivere ai motociclisti che la affollano, arrivare a Lavagna e salutare il mare per immergersi nell’entroterra. Da lì saremmo dovuti passare per la Val d’Aveto e l’Appennino, arrivare a Piacenza passando da Bobbio e poi sorbirci un lunghissimo rettilineo fino a Milano. Altri 200 chilometri, sei ore con qualche sosta per le foto di rito e per sgranchirsi le gambe.

Lo scooter viaggia veloce e, grazie alla passeggera ormai abituata, pieghiamo bene. Nelle curve sembra quasi di sciare, uno slalom gigante ma più lento. Scivoliamo via in un saliscendi sempre in salita, tra chiacchiere e risate nelle orecchie accartocciate contro gli auricolari.

Scolliniamo in mezzo alla nebbia e l’aria si rinfresca. Prima al mare a sudare, poi sui monti. Eccolo il viaggio. Ora la visiera si riempie di goccioline che, poco alla volta, si ingrossano e scivolano giù sulla barba, sulla maglietta. Inizio a sentire freddo ma il divertimento e la compagnia mi scaldano. Davvero.

I boschi attorno profumano la strada. Le rocce grondano e, lo ammetto, mi sembra di essere a casa mia. Mi sembrano le mie Alpi Apuane. Non ci sono le cave, certo, ma sembrano loro. Lo dico a Caterina e non risponde. La immagino annuire, guardando con occhi diversi ciò che ci circonda. È bello viaggiare in due.

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A un certo punto i monti finiscono, i paesini si fanno meno radi e la pianura sembra infinita. Le macchine corrono anche se la strada ha tante curve. Un borbottio del motore e lo scooter si spegne in mezzo alla strada. «Vedrai che riparte» dico a Caterina. Ancora in sella lo spingo sul ciglio della strada. Il cielo si riempie di nuvole.

Non parte.


Aspettiamo cinque minuti, e ancora non vuol saperne di mettersi in moto. Aspettiamo dieci, venti, trenta minuti. Non parte. Lo spingo ancora verso il parcheggio di una pizzeria di cui intravedo il cartello. Aspettiamo. Non era così che doveva andare.

Poi succedono cose che trasformano il viaggio in un’avventura. Un pizzaiolo in borghese esce e ci prende in simpatia. «Voi siete matti», dice. Sì, siamo matti, ma la pazzia non serve ad aggiustare lo scooter. E lui lo sa. Così chiama un amico meccanico, un altro pazzo come noi, che una tranquilla domenica pomeriggio accetta di sporcarsi le mani nello scooter di due sconosciuti.

Dopo aver smontato mezzo scooter con una brugola e un cacciavite trova il problema. «La candela» dice, «è la candela il problema!». Infatti la svita ed è tutta fusa. Non chiediamo spiegazioni, anche se dovremmo. Perché una volta trovato il problema, il problema va risolto. E noi non abbiamo nessun pezzo di ricambio. «Ma come, non avete neanche una candela di scorta?». Io abbasso la testa e mi guardo la punta delle scarpe. Scarpe buone solo per andarci al mare.

No, non ho niente. Non doveva essere un viaggio in scooter, ma uno spostamento. Sono partito come fossi in fuga: uno zaino con due libri, un telo mare, il costume. Per precauzione ho portato una maglietta a maniche lunghe che avrebbe dovuto proteggermi dalle scottature, e invece mi ha salvato dall’ipotermia. Ho un po’ d’acqua e della focaccia genovese davvero ottima. Pensavo di essere a posto, ecco. Ma è evidente che no, non era solo uno spostamento. Era un viaggio, e io non ero preparato.

«No, non ho niente» rispondo. Il meccanico sorride. È qui da un’ora e avrebbe tutto il diritto di prendermi la testa e incastrarla negli ingranaggi della moto, ma non lo fa. Prende il telefono e chiama qualcuno. «Dobbiamo aspettare un po’» dice dopo aver rimesso il telefono nel taschino. Aspettiamo facendo due chiacchiere, un po’ increduli e un po’ tristi.

Dico a Caterina che se arriva qualcuno col pezzo di ricambio potrei piangere. Un refolo fresco le scompiglia i capelli. Aspettiamo. Il sole sta tramontando ma non ci sono più nuvole. Guardiamo l’arancione del cielo che rende l’attesa più lieve.

Aspettiamo mezz’ora. Poi quel qualcuno con la candela di ricambio arriva e no, non piango, ma sono emozionato. Lo scooter parte al primo colpo. Salutiamo, infiliamo banconote da cinquanta euro nelle tasche di tutti e tutti ce le tirano dietro. Il meccanico rimonta i pezzi, ci regala pure una candela di scorta e ripartiamo. Voliamo sull’asfalto con sorrisi che non riusciamo a vedere ma che sentiamo, sappiamo che ci sono, sono proprio lì. Grandissimi.

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Dopo dieci minuti a massima velocità leggiamo finalmente le indicazioni per Milano. Il viaggio in scooter sta per finire. Imbocchiamo il noioso rettilineo che si rivela davvero dritto e noioso, ma ci porta fino a casa. Lo scooter ce l’ha fatta anche stavolta, e se non ci ha abbandonati in questo viaggio non ci abbandonerà mai più.

Voi ci credete?

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