Pochi giorni fa ho preso un treno alle sette di mattina. Niente di speciale. Ho fatto in tempo a comprare il giornale e mi sono seduto rivolto verso l’arrivo, accanto al finestrino. Il viaggio doveva durare qualche ora, così mi sono armato di un libro da alternare alla lettura del quotidiano, che riporta solo le quotidiane tragedie del nostro bellissimo paese. Ogni tanto, però, alzavo gli occhi per guardarmi intorno. All’inizio riuscivo a vedere solo un ragazzo, un po’ trasandato e con un cappellino di lana in testa. Ad agosto.
Alla seconda fermata è salita una ragazza e si è seduta di fronte a me, nonostante io ingombrassi più del dovuto col mio zaino ricolmo e la mia stazza. La guardavo, ma lei non alzava mai gli occhi. Prima guardò il cellulare, poi fissò lo sguardo su un libricino che non riuscii a riconoscere. Avrei potuto chiederle che libro fosse, ma non l’ho fatto.
Ho continuato a leggere il giornale e il libro, alzando ogni tanto gli occhi per guardarla, anche se fingevo di osservare il paesaggio che scorreva via. Aveva i capelli lunghi e molto scuri, era di pelle chiarissima e non era alta. Non era magra, e non era truccata. Non era perfetta, ma questo la rendeva bella, più bella di tutte le persone che ostentano trucchi pesanti per coprire le imperfezioni di un viso che imperfezioni non ne ha. Era bella, e il viaggio è stato piacevole per la sua presenza silenziosa e timida.
Mi sentivo come quando da bambino, alle elementari, guardavo di sottecchi la ragazzina che mi piaceva, qualche banco davanti al mio. Ma lei ogni tanto si girava, ed io ero costretto ad alzare gli occhi di scatto per guardare un soffitto che di interessante non aveva nulla, neanche una maledetta macchia d’umidità. E arrossivo. E quando riabbassavo lo sguardo, lei aveva capito tutto (come faceva, a 8 anni?!) e mi guardava ancora. E da rosso diventavo viola. Ecco, mi sentivo come quel bambino di tanti anni fa. Chissà se è ancora vivo dentro di me, da qualche parte.
All’improvviso, la ragazza del treno alzò gli occhi e i nostri sguardi si incrociarono. Distolsi subito gli occhi per fissarli sul libro, che tenevo però al contrario. Mi senti avvampare nonostante l’aria condizionata, e sentii quel bambino impolverato risvegliarsi dentro di me, ma con la barba e qualche capello bianco. Con molta fatica la guardai ancora, ma lei distolse lo sguardo. Anche lei diventò rossa. E scoppiammo a ridere entrambi, come per un colpo di fulmine istantaneo e poco duraturo che lega due bambini per un minuto, un’ora, o poco più. Iniziammo a chiacchierare proprio quando l’arrivo era vicino, e non ci fu il tempo necessario per offrirle un caffè, ancora imbarazzati dal rossore dei visi.
Le nostre strade si dividevano prima ancora di incrociarsi, è vero. Ma ci sarà sempre il treno che trasporterà chi dovrà seguire la tua stessa strada. Basta avere la pazienza di non accontentarsi della prima persona che riesce a farti sorridere, per cercare la persona che ti fa smettere di piangere.
Avrei dovuto chiederle che libro stesse leggendo, ma non l’ho fatto. Forse non la vedrò mai più, forse la troverò domani nel bar sotto casa. Forse grazie a internet mi ha scovato e leggerà questo articoletto. O forse non è mai esistita. Forse era solo un sogno. Comunque sia, c’è sempre un treno che mi aspetta.
C.B.A.