“Misery”. Di William Goldman da Stephen King

“Misery”. Di William Goldman da Stephen King

 

Si discute spesso della torre d’avorio degli intellettuali, in cui si recludono per prendere le distanze dalla cultura bassa, “sporca”, per immergersi nell’aulico valore della letteratura e della poesia “alta”. Una cosa, a prima vista, orrenda; ma stavolta vorrei spezzare una lancia in loro favore, e rinchiudermi con essi nella torre che non mi merito. Ma su questo tornerò dopo.

(Foto di Alice Pavesi)

Il 16 novembre ho visto lo spettacolo teatrale “Misery”, e sono rimasto impressionato da tre cose: dalla bellezza dello spettacolo in generale, dalla bravura degli interpreti (Arianna Scommegna, Filippo Dini e Carlo Orlando) e dalla “stupidità del pubblico” (BOOM). Sulle prime due, c’è poco da dire: nello spazio ristretto del Teatro Duse, studenti dell’Accademia Ligustica di Belle Arti mi dicono che la scelta di una scenografia rotante è quasi obbligata. Se così fosse, cambia poco: la scenografia della casa, dalla prospettiva deformata e perturbante, è semplice ma curata. L’uso delle luci per rendere il passare del tempo è intelligente. E gli attori, nonostante la difficoltà di certi personaggi, sono interpreti per cui vale il prezzo del biglietto; di qualsiasi biglietto. Lo spettacolo, insomma, è stato (a mio avviso) un successo.

Però, il pubblico… Per ovvie ragioni un giornalista, o un critico, non potrebbe scrivere un’affermazione come quella che io ho osato scrivere poco sopra: “stupidità del pubblico”. Pena, probabilmente, la perdita del posto e della simpatia degli “innumerevoli” (ironia) lettori. Ma io non sono né un giornalista né un critico, quindi posso dire ciò che voglio, se non infrango la legge. Posso dire, quindi, che il pubblico di ieri era per la maggioranza stupido: come si può ridere sguaiatamente nelle scene in cui la protagonista pazza, l’infermiera Annie Wilkes, perde il senno urlando e strepitando rivolta verso il pubblico? Io vedevo la tragedia di uno scrittore, recluso da una sconosciuta folle e impossibilitato a scappare; e non ridevo. Qualcuno, evidentemente, vedeva una persona che si atteggiava da pazza; è ovvio che nella piazza di una capitale una scena simile farebbe ridere. Ma non a teatro, e non per uno spettacolo di questo genere..

Io non ridevo. O meglio, non ridevo spesso come molti altri. In alcune sezioni, con un clima meno teso e l’apparente complicità tra carcerato e carceriere, la risata non era solo spontanea, ma richiesta dalle circostanze: affinché lo spavento e il coinvolgimento sia massimo, gli interpreti ci portano su un’altalena che oscilla tra la paura, all’ironia (ma sempre dolceamara, sempre contenuta vista la situazione).

Il pubblico, però, rideva. Durante la cena “romantica” tra i due protagonisti, c’è sul tavolo un cartone di vino rosso. Tra il pubblico, qualcuno, dice: “ma è Tavernello!”; per poi esplodere in una sonora rista. Questo, intendo, è il pubblico stupido. E mi fa venir voglia di rinchiudermi con gli intellettuali in una torre; anche come cameriere, visto che non sono un intellettuale. O come fochista, che lassù tra le nuvole farà freddo.

https://teatronazionalegenova.it/spettacolo/misery/

 

Cosimo Benzi Angelini

 

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