Matteo Marchesini – Atti mancati (Voland, 2013)

Matteo Marchesini – Atti mancati (Voland, 2013)

Premessa

Ho conosciuto Matteo Marchesini a Padova, più di tre anni fa: era stato invitato a tenere una conferenza all’Università, per il corso di Letteratura italiana contemporanea. Una conferenza fulminante, in cui il delectare accompagnava il movere e viceversa, in una tensione continua di riflessioni profonde e risate. Lui, così giovane, ce l’aveva fatta; e dicendo che pochi anni prima era uno di noi, come noi, ci spronava a seguire la nostra strada. Quale? Qualsiasi, avrebbe detto Robert Frost. Ma sicuramente, sì, seguirne una.

Questa premessa è necessaria perché, a partire da quella conferenza, non ho mai smesso di seguire digitalmente Marchesini; e non ho mai smesso di apprezzarlo. Per questo, se su Atti mancati potrei essere più severo, probabilmente non lo sarò. D’altronde, non sono un critico.

copertina libro atti mancati marchesini voland

Critici/scrittori e scrittori/critici

Posso affermare con relativa tranquillità che tutti i critici letterari hanno trattato, almeno una volta nella loro vita, la questione del romanzo: cos’è, e cosa no? Possiamo dire, poi, che molti scrittori hanno riflettuto sullo stesso tema; ma non tutti.

Marchesini è critico e scrittore. E poeta (le sue poesie sono ben degne di considerazione). Eppure, anche in questo suo primo romanzo, è il critico che comanda, perché la storia d’amore tradizionale serve solo da supporto alla riflessione sul romanzo (e sul ruolo della critica): la trama, quindi, serve a sostenere delle considerazioni che il critico/scrittore (e non, credo, scrittore/critico) ha elaborato. Per questo, il protagonista Marco, nonché io-narrante, è ovviamente un alter-ego di Marchesini: è allo stesso tempo portavoce delle sue intenzioni e vittima, ahimè, della sua trama.

Ma tornando al romanzo, che senso può avere nel nuovo secolo? I protagonisti di Marchesini offrono alcune risposte. Il maturo Pagi, scrittore e intellettuale, è stufo: basta romanzi! Dice. Marco ha un parere simile:

Si gonfia invece a dismisura, fino a una ipertrofia letale, la schiera di coloro che vogliono buttarsi sul carro dei vincitori. E questo carro si chiama romanzo. Ma il romanzo (…) non è più insomma un genere letterario, ma, come ha detto qualcuno, un genere editoriale.

E alla luce di questo frammento capiamo, come altri hanno fatto notare, che Bernando Pagi è Alfonso Berardinelli (si legga il libro “Non incoraggiate il romanzo. Sulla narrativa italiana”) e che Marco/Matteo lo cita.

Lo cita, lo accetta, e lo mette in discussione con l’atto stesso di creare il romanzo. Perché?

Una serie di atti mancati

Marchesini, nell’atto stesso di scrivere il romanzo, ammette di credere nel romanzo. Nonostante la massa di affabulatori che si buttano sul “carro dei vincitori”, cioè il romanzo, c’è spazio per romanzieri veri. Ma sono le teorie sugli atti mancati, forse, che spiegano la sua riflessione sul romanzo.

Matteo doveva consegnare due manoscritti a Pagi, uno suo e uno dell’amico Ernesto. Invece consegnò solo il suo, e non quello dell’amico. Questo è l’atto mancato più evidente e pesante dell’opera; se Matteo avesse consegnato entrambi i manoscritti, avrebbe Pagi, con una chiamata ad entrambi, evitato la morte di Ernesto? Non è ovviamente l’atto mancato ad aver causato la morte dell’amico. Ma, forse, l’atto avrebbe potuto evitarla.

Allo stesso modo, con una traslazione coraggiosa e forse sbagliata, il romanzo potrebbe morire. Se tutti i romanzi fossero monchi (come quelli dei nostri personaggi), l’atto mancato (della scrittura) potrebbe non impedire la morte del romanzo. Ecco la chiave! Matteo (e non, adesso, Marco) scrive per impedire la morte del romanzo. È ben consapevole del fatto che il romanzo potrebbe morire lo stesso, e non è il suo scrivere o non scrivere a causare l’azione delle Parche sul filo della vita del romanzo.

Eppure, il fiducioso Marchesini scrive anche per evitare di avere i rimorsi, e i rimpianti, del suo protagonista. E forse è proprio questa intenzione che rende la sua scrittura così piacevole nonostante alcune pagine “troppo virtuose” ma pur sempre belle.

Sì, a volte finire un libro è solo questo: prendere atto.

Prendere atto dei limiti e delle possibilità, della mancanza di fede e della possibilità di ritrovarla; dei rischi di morte del romanzo, a lungo paventati, e delle capacità salvifica che hanno scrittori come Marchesini, stavolta critico/scrittore, per la penna fine e il Senso che impregna gli spazi bianchi tra le righe.

La critica

Sul ruolo della critica, possiamo sorvolare. È un tema molto interessante che potrebbe occupare uno scritto nella sezione Riflessioni a partire da. Ci basti, per il momento, questo frammento:

Comunque, Jacopetti mi assilla e dice che vuole che ritorni a fare il critico militante. Per lui militante vuol dire che dovrei recensire un autore italiano alla settimana. È pazzo. Non gli passa neanche per la testa che proprio questo non è militante, ammesso che la parola abbia ancora un senso, e che oggi un critico militante non può essere un critico giornaliero, pena la costrizione di dare l’onore delle armi a un sacco di paccottiglia… Sui non-autori bisogna solo stare zitti, a meno che non rappresentino un caso sociale. Allora sì vanno stroncati. Ma ormai io sono troppo stanco… qualcuno però deve pur farlo!

 

Cosimo Benzi Angelini

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