Luigi Barzini – Gli italiani. 53 milioni di protagonisti (Arnoldo Mondadori Editore, 1965)

Luigi Barzini – Gli italiani. 53 milioni di protagonisti (Arnoldo Mondadori Editore, 1965)

Premessa

Questa non sarà una critica sull’opera in questione, che già chiamarla opera è un atto eccezionalmente generoso. Non è il libro in sé che mi interessa, né tantomeno il suo autore, se non come bagaglio culturale (di cui potrei però fare a meno); ma questo libro mi è utile per parlare d’altro, e quindi lo sfrutto senza neanche averlo letto tutto.

Se poi non siete d’accordo sull’interrompere a metà i libri (anche se ho smesso molto prima della metà), vi rispondo dicendo che è un mio diritto. Sono un tifoso dei dieci diritti del lettore di Daniel Pennac, e proprio il terzo è questo: il diritto di non finire il libro. Quindi leggetevi Pennac, che è sempre una lettura divertente.

Luigi barzini chi?

Di Luigi Barzini (1908-1984), grande inviato del Corriere della Sera ai tempi del fascismo, basti dire che fu mandato al confino nel 1940, e poco dopo Mussolini in persona trasformò la pena in una diffida. Questo per introdurre il tema della mancata epurazione, di cui si parla troppo poco. In parole povere, con la caduta del fascismo non caddero anche tutti quegli adepti o gerarchi che del fascismo erano le fondamenta, giornalisti in primis.

L’accenno al fascismo serve per contestualizzare la figura di Barzini, e del suo libro (del 1964); e per definirlo meglio bisognerà aggiungere che è cresciuto e si è formato negli Stati Uniti; per questo il libro è scritto in inglese, per un pubblico americano, e solo successivamente tradotto in italiano.

Gli italiani: 53 milioni di protagonisti

Per arrivare al libro (ma ce ne distaccheremo subito), bisogna partire dal titolo: il libro vuole concentrarsi sugli italiani, rendendoli a parole tutti protagonisti, senza tracciare una storia d’Italia. Bravo, in questo, a riconoscere di non essere uno storico; meno bravo, Barzini, a tentare comunque la storia d’Italia e dei suoi costumi. È evidente, nel suo goffo tentativo, l’impronta nazionalista che non è stata affatto scalfita dalla caduta del regime. E forse la gravità non sta nel fatto che ancora negli anni ’60 qualche idea di un presunto “carattere italiano” resistesse, ma che fosse proposta da quegli esponenti del “carattere italico” che mai sono stati messi in discussione dopo il crollo di Mussolini.

Ecco perché oggi i nazionalismi hanno grande fortuna: semplicemente, non l’hanno mai persa. Eppure, qualcuno poteva considerare Barzini più americano che italiano. Per questo dedica lacrimose pagine agli “illustri stranieri che, in ogni secolo, vi si sentirono moralmente a casa loro” in Italia. E continua con un’affermazione che rompe, già nelle prime pagine, qualsiasi impianto nazionalista, anche se solo per la durata d’un respiro: “essere italiani, in tal senso, non è la conseguenza di una coincidenza geografica ma piuttosto una scelta, una vocazione, un grado di maturità dello spirito.” Questa affermazione, presa con le dovute cautele, e riadattata, può e deve essere valida: la cittadinanza va oltre la coincidenza geografica e ha a che fare con la scelta, la vocazione.

e quindi?

Quindi, Barzini e gli eredi non me ne vogliano se ho rivangato il passato, che fatichiamo a ricordare. Se l’ho fatto, è per un discorso diverso dal triste moralismo e dalla predica acre. Se l’ho fatto, è per dire che essere italiani, oggi, vuol dire sentirsi italiani. E chi non lo capisce, probabilmente, ha letto pochi, pochissimi libri.

Cosimo Benzi Angelini

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