Lasciami andare, Padova. Atto II

Lasciami andare, Padova. Atto II

Padova. Dopo aver ricevuto il famoso foglio di carta per il quale ho sgobbato negli ultimi anni, ho voluto essere io a guidare per tornare a casa. Volevo fare quella tratta ancora una volta, forse l’ultima. Ormai conosco a memoria ogni stazione di servizio, ogni ponte, ogni autovelox. Conosco pure alcune bariste, a cui tiravo su il morale con qualche bagatella. Ho guidato io così da poter mettere la mia musica, e canticchiare come ho sempre fatto per stare sveglio. Ho scelto la playlist di canzoni italiane, e la musica ha iniziato a diffondersi.

Ad ogni canzone è collegato un ricordo, ed ascoltarle è come rivivere momenti, vacanze, baci e amicizie. Alcune melodie mi fanno tornare in mente odori dimenticati da tempo, volti incontrati una volta e poi persi per sempre, o per adesso. Altre canzoni, invece, non riesco più ad ascoltarle senza che mi venga un nodo inestricabile alla gola. Erano quattro fino a poco tempo fa, adesso sono circa dieci. Ma nonostante l’effetto che mi fanno, dovuto a ciò che rievocano, insisto e le ascolto lo stesso. Mi viene la pelle d’oca, fatico ad ingoiare la saliva. E poi alzo lo sguardo al cielo per evitare che dagli occhi, già umidi, escano lacrime. Ma nonostante tutto le ascolto, e se posso le canto letteralmente a squarciagola. Perché poi la gola mi fa male, la voce esce roca. E gli occhi sono sempre più umidi.

padova

Durante quell’ultimo viaggio, nel giro di tre ore, sono state riprodotte “casualmente” quelle dieci canzoni. E non ho battuto ciglio. Guidavo, canticchiavo, chiacchieravo allegramente con l’unico passeggero sveglio, ma era solo apparenza. In realtà ero assente, immerso in altri luoghi, con altre persone, in altri tempi.

Poi è arrivata una canzone che tutti conoscono e tutti cantano. Tutti si emozionano ad ascoltarla la notte prima degli esami, e proprio così si intitola. Eppure io mi sono emozionato lo stesso, anche dopo aver finito addirittura un percorso così importante come l’università. L’ho cantata tutta, ma invece di dare peso al classico ritornello, questa volta ho quasi pianto per dei versi ancora più semplici: si accendono le luci qui sul palco, ma quanti amici intorno. Mi viene voglia di cantare! Ed ho ripensato alla giornata passata in mezzo agli amici di tutta Italia, gente che si è fatta anche 6 ore di macchina solo per darmi un abbraccio, per dirmi “bravo!”, e per farmi un sorriso. Ed ho ripensato ai quattro anni passati a Padova, alle persone venute a festeggiare con me, ed alle persone che non ci sono potute essere. Se erano tutti così felici, forse ho seminato bene.

Le luci del palco adesso sono spente. Rimane il ricordo di quel viaggio durato quattro anni. Rimane il ricordo degli amici che lascio, ma ritroverò. Rimane l’odore di alcuni angoli bui, rimane il profumo di alcune persone, rimane l’amaro in bocca di certe delusioni. Ma Padova mi ha già aperto le porte per permettermi la fuga. E se i ricordi, se la malinconia o la voglia di ambrosia tenteranno di farmi tornare indietro, sarò ormai troppo lontano. Sarò altrove, a cantare le stesse canzoni, a pensare alle stesse persone.

Ringrazio chi c’è. Ringrazio chi c’è stato.

Ringrazio chi non c’è più. Ringrazio chi non c’è potuto essere.

 

C.B.A.

 

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