La gomma pane

La gomma pane

Ti sei alzato male, ricordi?, dopo non aver quasi dormito, dopo aver pensato a tutti quei problemi, quelle scelte forse sbagliate o forse no, dopo tutto questo ti sei alzato e ti sei messo lì, davanti alla finestra, a guardare le luci della città dall’alto. Il sole non si è ancora fatto vedere e la città, spianata di fronte a te, è un brulichio di luci a intermittenza, una danza psichedelica di led natalizi gialli bianchi rossi blu, e l’illuminazione delle strade non la noti neanche.

Hai immaginato per un attimo di cancellarla con una gomma pane, la città, tirando giù palazzi e vite e strade, come succede sempre più spesso in questo paese senza neanche usare l’immaginazione, ma tu lo fai perché sogni sempre di vederla com’era una volta, com’era prima del tuo arrivo e dell’arrivo dei tuoi nonni, insomma com’era prima che qualcuno la costruisse e le desse un nome. Ti chiedi che forma avesse la costa, in quel tempo antico, e di che tipo fossero le spiagge che oggi non esistono più, e ti chiedi se abbia un senso chiedersi tutto questo quando i problemi sono ben altri, e belli grossi.

Di certe cose, a volte, non sai con chi parlare, così finisci col parlare al soffitto, quel soffitto che di inquilini ne ha visti tanti e chissà quanti ne vedrà, ed è lui che ti rivolge la parola proprio quando ti ributti un po’ a lettoH.

Ho sentito dire, dice, che passare le giornate a letto, in casa, nonostante le scadenze e gli impegni, non è pigrizia ma ansia, e tu non sai che rispondere perché se sei finito a parlare col soffitto tanto bene non devi stare. Eppure stai al gioco, Complimenti allo scopritore dell’acqua calda, caro Soffitto mio, ma poi dove l’avresti sentita questa?, Sei un cretino, sono solo una voce nella tua testa, quindi lo dovresti sapere tu, Ah, già… ma senti una cosa, è normale che una voce nella mia testa mi dia del cretino?, Solo se è quello che pensi di te, Allora è tutto nella norma, però ci sentiamo in un altro momento che ora ho da fare, e così dicendo torni a guardare fuori.

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Dopo la tua ultima frase hai sentito una risata provenire dal soffitto, ma quella risata si sovrapponeva perfettamente a quella nella tua testa, e l’unica cosa che hai potuto fare è stata ridere, anche tu, insieme alla voce nella tua testa, insieme allo sconosciuto al piano di sopra, perché in certi momenti o ridi, o ti fai ricoverare.

Hai ripensato alla gomma pane, e perché tra tutte hai ripensato a quella proprio quella non lo sai, forse perché è una gomma divertente, si trasforma, non buca i fogli come le gomme normali e tu non vuoi bucare la città, le persone, le strade, vuoi solo cancellarle per un attimo senza far soffrire nessuno, e quindi un colpo di gomma pane e via, tutto nuovo, tutto com’era una volta.

In realtà la gomma pane è un ricordo di infanzia, uno di quegli oggetti sacri che ti ha accompagnato per tutte le scuole anche se, alla fin fine, l’hai usata solo due o tre volte. Poi, proprio settimana scorsa, dopo decenni di oblio ti è stato di nuovo ricordato quando lui, quel tipo, te l’ha consigliata per ripulire un disegno che ti aveva regalato, Si sa, nei viaggi si crea qualche sbavatura della matita colorata, qualche sfumatura non voluta, ecco, usa la gomma pane e risolvi.

E tu, pacifico, ti eri rassegnato a rituffarti nei ricordi del liceo acquistando quella gomma pane che compravi all’epoca, sempre la stessa, la gomma incartata in una plastica trasparente tappezzata di loghi blu Pelikan, e i bordi aperti. Però non hai fatto in tempo a comprarla perché, proprio prima di tornare, la sera prima di prendere il treno per ritornare qui, in questa casa, di fronte a questa finestra, te l’hanno praticamente tirata addosso. Con dolcezza, si intende.

Lei, di fronte alla birra, ti ha passato un sacchetto di carta tipico delle vecchie cartolerie, bianco e blu, e dentro c’erano non una, ma due gomme pane. Per questo hai iniziato a sorridere mentre lei ti spiegava i collegamenti tra te e la gomma pane, te morbido e in continua evoluzione proprio come la gomma pane, e poi il riferimento al recente soprannome che sempre lui, quel tipo della gomma pane, ti aveva affibbiato.

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Lei non ha capito subito perché o percome ridessi, ma quando le hai raccontato tutto, i collegamenti, i nessi casuali, la pura coincidenza, ha iniziato a sorridere anche lei, gli occhi socchiusi, un po’ lucidi, le fossette attorno alla bocca, ed è lì che le hai ripetuto quella verità sentita altrove, verità in cui hai potuto mettere le dita come fosse stata una piaga da convalidare, e le hai detto quello che pensavi, Le coincidenze accadono sempre, sta a te decidere se farci caso o meno. Lei ha riflettuto un attimo, il volto serio all’improvviso, Credo sia proprio così, ha risposto, ed è tornata a sorridere.

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