Kallocaina – Karin Boye. L’amore, la felicità e la ragion di Stato (Iperborea, 1993)

Kallocaina – Karin Boye. L’amore, la felicità e la ragion di Stato (Iperborea, 1993)

Attenzione: la lettura di Kallocaina di Karin Boye mi è stata suggerita dalla cara Martina di Velleità Letterarie (seguitela sul blog e su Instagram), che ringrazio. Ne parleremo insieme, prima o poi, perché è un libro di cui bisogna parlare.

Kallocaina e lo Stato Mondiale, la trama in breve

Leo Kall, chimico, vive in piena devozione del suo stato, lo Stato Universale, uno stato poliziesco organizzato in isolate città produttive in cui ogni persona ha uno specifico ruolo. Durante le sue ricerche inventa un siero che, se iniettato, obbliga a dire la verità. Pensa che il siero possa risolvere gran parte dei problemi dello Stato, scoprendo chi mente e chi ha qualcosa da nascondere, cioè smascherando tutti i soggetti potenzialmente pericolosi per la vita dello Stato.

Eppure, progressivamente, ogni sua convinzione sulla centralità dello stato si sbriciola, e iniziano a emergere dubbi e questioni che, in un vero cittadino di una simile società, neanche dovrebbero emergere.


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ISBN 9788870918915

Iperborea

Collana Gli Iperborei

Autore Karin Boye

Traduttrice Barbara Alinei

Pagine 256

Genere Romanzo

Rilegatura Brossura

Formato 10 x 20 cm

Prezzo 17,50€


Sulla Kallocaina, il problema della verità

La Kallocaina è un siero della verità che obbliga, chi interrogato, a dire la verità senza esitazione, senza torture, senza neanche insistere. Qualsiasi verità, anche quelle che implicano, dopo la confessione, la condanna a morte, dopo una piccola iniezione sono pronunciate talvolta con una tranquillità che quasi sconvolge.

Ma la Kallocaina è soltanto una protagonista collaterale del libro, l’arma, l’oggetto magico che muove le vicende più dello stesso protagonista e voce narrante che l’ha creata. Al centro del romanzo c’è il rapporto tra ciò che si sa, di qualcuno, e ciò che quel qualcuno nasconde, cioè tra la faccia positiva e la faccia negativa.

Se per faccia positiva si intende quel profilo che, come individui sociali, mostriamo all’esterno e in società, la faccia negativa è il profilo naturale, vero, ed è per questo che un tale spazio dell’indipendenza e dell’autodeterminazione è tenuto nascosto, è privato per evitare problemi col mondo esterno.

In una società come quella di Kallocaina, in cui fin da piccoli i bambini sono educati a esistere in funzione di una collettività e di uno Stato che protegge dal nemico esterno, un divario troppo ampio tra faccia positiva e faccia negativa è pericolosissimo. Basta un passo falso, un discorso leggermente fraintendibile per far partire denunce, ammonimenti, e quindi per finire limitati in quelle poche libertà che i cittadini dello Stato Universale hanno.

La cosa più importante è la capacità di abbandonare il proprio punto di vista per abbracciare quello giusto.

La faccia negativa corrisponde alla verità personale, che solo in casi eccezionali dovrebbe essere mostrata. La Kallocaina forza questa copertura, scoperchiando una verità spesso dimenticata: tutti hanno qualcosa da nascondere. Quindi tutti hanno almeno una colpa.

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Prima edizione Iperborea, 1993

Le verità del protagonista, il chimico Leo Kall

A narrare le vicende attorno alla Kallocaina è proprio il suo inventore, Leo Kall, un indefesso servitore dello Stato le cui sicurezze iniziano a sgretolarsi dopo i primi esperimenti col siero. No, non è il siero in sé a preoccuparlo, bensì il suo supervisore, Rissen, perché secondo Leo Kall stesso «certe persone, solo con il loro modo di essere, tradiscono talmente la loro concezione della vita, che sono pericolose perfino quando tacciono. Un loro sguardo, un loro gesto possono già essere di per sé veleno e contagio».

Ed è lo stesso Rissen che, volente o nolente, agisce da untore e instilla il dubbio in Leo Kall, dopo i primi esperimenti, e lo fa cercando forse un alleato, qualcuno che come lui avesse una faccia negativa molto diversa da quella positiva:

“Lei sembra avere una coscienza insolitamente solida”, disse Rissen seccamente. “Oppure fa soltanto finta di averla? La mia esperienza, al contrario, è che nessun cittadino sopra i quarant’anni ha davvero la coscienza tranquilla. In gioventù forse qualcuno, ma dopo… Del resto lei magari non li ha ancora passati i quarant’anni?”
“No, non ancora”, risposi con la maggior calma possibile. Per fortuna ero rivolto verso la nuova cavia e potevo evitare di guardare in faccia Rissen.

La solidità di Leo Kall dura quasi quarant’anni, appunto, poi inizia a vacillare. Finché non sarà lui stesso preoccupato di finire sotto gli effetti della sua invenzione.

Amore e felicità ai tempi della distopia comunitaria

Forse, non sarebbe bastata la creazione della Kallocaina e le sue conseguenze a smuovere la «coscienza insolitamente solida» di Leo Kall. I primi pensieri divergenti, infatti, provengono dai problemi con la moglie e dalla sua presunta infedeltà.

In realtà, in quest’opera i matrimoni esistono in quanto necessari allo Stato per sfornare nuovi servitori, e anzi non sono definitivi. Eppure, nonostante Leo Kall sia consapevole dello scopo della sua unione, ha un tarlo che lo perseguita, forse tra i tarli il più umano e pericoloso: la gelosia. Crede che la moglie abbia una relazione col suo supervisore, Rissen, e questo gli fa avere pensieri che un servitore dello Stato non dovrebbe avere.

Capiamo e approviamo che lo Stato è tutto, il singolo niente (…). Quel che resta è l’istinto di conservazione, e il conseguente bisogno di un sistema militare e poliziesco sempre più sviluppato. Questa è l’essenza dell’esistenza dello Stato. Tutto il resto è marginale.

Certi tarli, per quanto socialmente marginali, si sa, non si mettono a tacere tanto facilmente. Per questo, solo dopo mesi di dubbi trova il coraggio di parlare alla moglie, oscurando l’occhio e l’orecchio dello Stato presenti in ogni casa, e le chiede direttamente se è stato tradito o meno. La risposta è negativa, ma come può fidarsi? Il tarlo scava, scava e scava, ma c’è un modo per conoscere la assoluta verità: la Kallocaina.

La moglie, anche sotto l’effetto del siero della verità, non ammette alcun tradimento. Anzi, dice di provare, talvolta, il desiderio di uccidere il marito, perché vede in lui, in parte, la causa della sua infelicità, che è soprattutto mancanza di senso.

Sai che è invidiabile essere giovani e amare senza speranza, anche se al momento non lo si capisce? Una ragazza giovane crede che ci sia qualcos’altro, una libertà che deve venire con l’amore, un rifugio che troverà nell’uomo che ama, una sorta di calore e di riposo – qualcosa che non esiste. Un amore infelice, che dà quella confortante disperazione di non aver avuto fortuna con la persona amata, ma lasciando la convinzione che altri possano averla avuta, e che esiste, e che non si può avere. Cerca di capire: quando c’è tanta felicità nel mondo e la nostalgia ha un suo scopo, non è così angosciante essere infelici. Non è disperato. Ma un amore così conduce al vuoto.

Il senso di vivere

Se tentiamo di mettere assieme il problema della verità con quello della felicità, viene fuori, in qualche modo, un assunto simile a questo: finché credi veramente nella verità che ti propongono, la felicità non è assicurata ma l’infelicità è evitabile. Appena crolla la verità, e quindi il senso, la felicità diventa un miraggio e, la costrizione all’infelicità, porta a un desiderio di morte.

Così è anche per il primo “volontario” vittima della Kallocaina, un servitore dello Stato tra i più fedeli che, appena iniettata la sostanza, erutta come un vulcano tutte le sue paure, le sue insicurezze, e la percezione di una totale mancanza di senso della sua esistenza:

Mi piacerebbe morire. Se non si può avere più niente dalla vita, resta sempre quello.

Ma la stessa incertezza, più avanti, si troverà più volte nelle parole dello stesso Leo Kall, che sente venir meno quella certezza, la fiducia nello Stato, che gli permetteva di vivere in relativa tranquillità nonostante il matrimonio che «anche se corrisposto, era comunque infelice». E ogni pensiero divergente, per quanta cognizione avesse della sua divergenza, era impossibile da scacciare:

Sapevo che era una maniera falsa e malsana di vedere le cose, e cercavo di convincermene con ogni possibile argomento. Ma quel vuoto che sentivo ingrandirsi come un deserto dentro di me, non aveva altro nome che mancanza di senso.

Distopia tra Orwell e Huxley

In conclusione, alcune note generali essenziali: Kallocaina di Karin Boye è stato pubblicato per la prima volta in svedese nel 1940, anche se in Italia è apparso soltanto nel 1993 grazie alla prima edizione di Iperborea. La data di pubblicazione, in questo caso, è importantissima perché i due libri a cui spesso questo viene collegato, sono di molto successivi: 1984 di George Orwell è del 1949, mentre Il mondo nuovo di Aldous Huxley è del 1932.

Senza girarci attorno, le differenze tra i tre libri sono molteplici, ma ci sono indiscutibili punti di contatto che la critica ha già evidenziato. Kallocaina si pone al centro di questa triade, e solo la lingua in cui è stato scritto spiega la difficoltà che ha avuto per molti decenni a entrare nel nostro paese.

Un libro che andrebbe letto, consigliato e riproposto. E, se possibile, affiancato ai già citati mostri sacri, letto assieme ad essi, messi magari sullo stesso scaffale, perché nessuno è subalterno all’altro.

Approfondimento: Kallocaina e Karin Boye

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