Scuola Holden, scrittura e altre questioni. Intervista a Anja Trevisan

Scuola Holden, scrittura e altre questioni. Intervista a Anja Trevisan

Anja Trevisan, autrice di Ada brucia, mi ha gentilmente concesso una lunga intervista telefonica. Devo ammetterlo: è stata una bella chiacchierata. Ha parlato senza troppi peli sulla lingua sul mondo degli scrittori e sulla Scuola Holden. Ma non solo. Alcune riflessioni su scrittura e editoria saranno sicuramente utili ad aspiranti scrittori e operatori del settore.

Prima di iniziare, devo far presente ai lettori un elemento non secondario: l’autrice, fidandosi, ha ritenuto non necessario leggere l’intervista prima della pubblicazione. Questo vuol dir tanto. E lo apprezzo molto.


Anja Trevisan e la Scuola Holden

Ciao Anja, grazie per aver accettato di parlare un po’. Non mi concentrerò troppo sul libro, Ada brucia, perché ne abbiamo già parlato in tanti (in questo articolo trovate la mia recensione al libro, alcuni link per approfondire utili e una bella presentazione telematica).

Partirei subito dalla Scuola Holden. Hai detto, in precedenza, di aver trovato l’editore anche grazie alla Holden. Ci sono opinioni discordanti su quella scuola, tra ammiratori e haters. Tu dopo la Holden sei stata pubblicata in una casa editrice molto interessante. La consiglieresti?

È vero, ho conosciuto il mio editore alla fine della Scuola Holden. Ci sono tanti contro della Scuola Holden però ci sono dei pro che, in un certo senso, li coprono. Io ho passato alla Holden i due anni più belli della mia vita, e tornassi indietro probabilmente la rifarei. Però consigliarla onestamente no… Perché il costo è proibitivo nei confronti di una larga fetta di persone e costa tanto per quel che ti dà.

Alla Holden si accelera il processo di scrittura, ti danno degli strumenti che accelerano il processo creativo, tanti consigli, tanti metodi, tanti modi di fare schemi. Ovviamente servono, te li insegnano in sei mesi e li tieni per tutta la vita. Ma se leggi un libro a settimana e oltre a leggere quello che succede, cerchi anche di capire com’è stata creata la storia, sono cose che impari anche solo leggendo.

Io ho passato dei bei momenti alla Holden, e soprattutto l’ho frequentata in un periodo in cui mi serviva perché sapevo già che storia volevo scrivere ancora prima di mettere piede dentro la scuola. Sapevo già di voler scrivere Ada brucia, ed essere circondata da persone che avevano già pubblicato romanzi subito dopo il liceo e senza sapere niente di quel mondo, mi ha proprio lanciata. Mi è servito più a quello, però non è che se io dopo il liceo avessi fatto l’università o se avessi letto tanti libri per conto mio non avrei comunque pubblicato il libro, perché io sapevo che volevo farlo.

Insomma, nel tuo caso la Holden è stata d’aiuto ma non è stata essenziale. Ti ha aiutato a smuoverti ma ti saresti smossa lo stesso?

Sì. Come non tutti quelli che fanno la Holden pubblicano libri, allo stesso modo un sacco di libri pubblicati non sono di studenti della Holden. Io la consiglierei solo a persone che hanno un appoggio economico molto stabile, però non a qualcuno che dovrebbe svenarsi per fare una scuola che costa così tanto ma poi, in realtà, non è che ti dia chissà cosa.

Al netto di questo giudizio generale, c’è un consiglio pratico ricevuto alla Scuola Holden che ti ha aiutato più di altri nella scrittura, e che potrebbe aiutare un esordiente?

Durante la Holden mi sono costretta a scrivere sempre. Ho imparato a responsabilizzarmi, a non vedere più quello che scrivevo come qualcosa che sognavo soltanto di pubblicare, ma come una cosa che sarebbe stata pubblicata se io mi fossi impegnata abbastanza. Se, quindi, mi ci fossi messa come se ci stessi lavorando veramente. Poi lì sei circondato da insegnanti che hanno già pubblicato e ti senti più vicino alle case editrici, è quasi tangibile il fatto che pubblicherai un libro. Sicuramente una cosa che mi terrò per tutta la vita della Holden è che ha cominciato a farmi percepire la scrittura come un lavoro.

Quindi non ha influito sulle tue modalità di scrittura, ma sul tuo approccio allo scrivere?

Esatto. La mia scrittura da hobby è passata a qualcosa di più serio. Anche tutta la fase dell’editing non l’avevo mai fatta, ed è stata essenziale perché mi sono accorta di aver stravolto dei passaggi lunghissimi che prima mi sembravano perfetti. Ovviamente parlando con altri scrittori e sentendo altri pareri, cambia tutto.

Quando parli di editing, parli dell’editing fatto con Francesco Quatraro di Effequ, o di un editing fatto alla Holden?

Alla Holden abbiamo fatto un editing sulle prime 40 cartelle di Ada Brucia, quindi non era totale. Io ne avevo scritte 200 prima di incontrare Francesco, il mio editor, e tutte le altre le ho dovute fare un po’ da sola perché prima di mandare un manoscritto in casa editrice deve essere un po’ editato almeno da se stessi, per controllare no? E quindi alla Holden abbiamo editato solo le prime 40 cartelle, e da sola ho fatto l’editing sulle restanti cartelle seguendo un po’ le linee guida date sulle prime.

Poi, quando hanno accettato il manoscritto, ho fatto l’editing con Francesco. Però non è durato tanto. A Francesco ho portato il libro editato il meglio che potevo, da sola. Poi sapevo che non sarebbe stato pubblicato così come l’avevo portato io, e quindi è arrivato il suo turno. Mi hanno detto che, da sola, ho fatto un buon editing, quindi sono stata contenta.

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Spesso gli autori pensano che il loro lavoro si esaurisca con l’invio del manoscritto. Quasi sempre, però, il manoscritto è da stravolgere, se non da rifiutare. Quindi alla Holden ti hanno preparato al lavoro di taglio e cuci, e suppongo che non ci siano stati attriti con l’editing della casa editrice perché il tuo libro era già limato.

Esatto. Io non ho dovuto scrivere qualcosa di più o cambiare qualche parte della storia, ho dovuto solo tagliare tanto. Scrivendo un libro come Ada Brucia, con questo argomento, avevo paura di scriverlo in maniera troppo superficiale. Avevo paura che al lettore non arrivasse bene il concetto, e quindi mi perdevo in pagine e pagine di spiegazioni perché volevo proprio che arrivasse chiaro il messaggio. Sia alla Holden, sia Francesco, mi è stato detto che tante pagine non servivano, erano totalmente superflue perché a volte mi ripeto. Quindi abbiamo stravolto semplicemente cancellando intere pagine. Penso che una 50ina di cartelle in tutto siano state tagliate definitivamente.

L’editore ringrazia per aver abbassato i costi della stampa! Immagino sia stato un editing interessante, perché un problema è dover allungare, un altro è non dire abbastanza. Ma se si dice troppo, si taglia. È stato difficile?

Sì, però è anche un sollievo, perché ti dici “ok dai, allora vuol dire che mi ero già spiegata”. Tutti i miei dubbi se ne sono andati perchè effettivamente mi ero spiegata bene senza tutto questo malloppo di pagine inutili. Ed è molto più difficile aggiungere che tagliare quindi preferisco di gran lunga questo.

Un peculiare trattamento dei personaggi

Parliamo adesso di una peculiarità della tua scrittura. Nel podcast di Andrea Donaera hai detto alcune cose interessanti sui tuoi personaggi. Non mi soffermo sul libro perché ormai il lettore deve leggerlo e basta. Se vuole informarsi ci sono tutti i link, anche nel mio precedente articolo. In particolare, dici due cose interessanti su cui ti invito a parlare. Non solo dici che, all’inizio della scrittura, non sapevi cosa avrebbero fatto certi personaggi, ma poi aggiungi: “ho scritto quello che i miei personaggi mi consigliavano di scrivere”.

Questo è molto strano, perché ci dicono sempre che dobbiamo avere l’idea della storia chiara dall’inizio alla fine, e se dico “noi” parlo di tutta la popolazione italiana che vorrebbe scrivere e cioè tutti. Tutti vorrebbero diventare grandi scrittori poi per fortuna posiamo la penna. Scusa lo sfogo, torniamo ai personaggi. Cosa mi dici su di loro?

Con i miei personaggi ho un rapporto molto professionale, cioè di rispetto reciproco. Anzi, mentre io li rispetto loro rispettano un po’ meno me. La mia sensazione quando scrivo è che loro mi scelgano per raccontare la loro storia e se non lo faccio bene se ne vanno, tanti saluti e non mi cagano più. E quindi cerco di tenermeli buoni, cerco di rispettarli, cerco di rispettare tutte le loro idee anche quelle con cui non sono d’accordo (e spesso non sono d’accordo con le idee dei miei personaggi). Ovviamente, razionalmente parlando so che non esistono, però mentre scrivo credo che siano più reali delle persone che mi stanno attorno, quasi. E questo mi porta anche a scrivere in giorni in cui non ho molta voglia perché mi sembra di essere in debito con loro.

Quindi ci parli?

Sì, io ci parlo sempre. Sono passata da avere gli amici immaginari quando ero piccola, quando non sapevo ancora scrivere, poi quando ho imparato a scrivere ho detto “ah, posso anche scriverci storie insieme” e quindi ci parlo da sempre. E mi faccio anche sgridare, tante volte.

Per esempio, cosa ti rinfacciano?

C’è un personaggio che adesso ho messo un po’ da parte perché con lui ho un rapporto complicato di odio-amore. E ogni volta che ci parlo, che me lo immagino, mi fa sempre sentire in colpa. Mi dice che l’ho messo da parte, che non valgo niente, che neanche l’ho scritto bene il libro, che faccio schifo. Mi dice cose tremende. E io non gli so mai rispondere.

Ho capito. Sembra un personaggio cattivissimo.

Sì, lui è una brutta persona.

E tu lo metti da parte. Un po’ se lo merita, direi.

Già, però prima o poi dovrò decidermi ad assecondarlo.

Mi farai sapere quando succederà! Ma torniamo a te. Dopo Ada brucia, hai vinto il premio POP, meritatissimo, e poi cos’è successo?

In realtà, a parte che il mio libro ha cominciato a circolare un po’ di più, non molto… la cosa più emozionante che mi è successa dopo aver vinto il premio è che un editor di Einaudi mi ha messo due like su Instagram e quindi ho detto “ok, Einaudi, la mia casa editrice preferita mi sta cagando!”

Fantastico! Ti tengono d’occhio?

Non so, ma era un segnale del tipo “so che esisti”. Però direi che il premio ha rappresentato l’apice di quello che è stato il percorso del mio libro. E di quello che è ancora, perché tutte le varie presentazioni sono state concentrate nel primo anno. Ho vinto il premio esattamente un anno dopo aver pubblicato e quindi era già passato un po’ di tempo. Il premio ha prolungato il tutto.

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Nell’estate 2021 vinci il premio, però già pochi mesi dopo l’uscita del libro, nel podcast già citato, avevi ammesso di aver pronto un nuovo romanzo. E aggiungevi che, di solito, ci metti più a mandarlo che a scriverlo, un romanzo. Dopo due anni non è stato pubblicato altro a parte il racconto uscito a gennaio su L’inquieto. E quel romanzo?

Quel romanzo è quello del personaggio che mi offende sempre. E quindi a un certo punto ha smesso di piacermi. Ho parlato anche con agenti letterari e con editori che mi hanno dato consigli su come sbloccare questa situazione. Però io, quando penso alla pubblicazione di un altro libro, penso sempre a una cosa detta alla Holden: a un certo punto un insegnante in classe ci ha detto “se non pubblicherete mai un libro l’umanità andrà avanti comunque. Insomma, non gliene frega niente a nessuno dei vostri libri”. Sul momento ci sono rimasta male perché pubblicare libri è il mio obiettivo fin da quando ho iniziato a scrivere da piccola, ma se ci ripenso mi dico “ma sai cosa? questo può aspettare ancora un po’, tanto nessuno sta morendo perché non sta leggendo il mio libro”. Questo mi deresponsabilizza un po’, devo trovare di nuovo quel senso di responsabilità che mi faceva scrivere ogni giorno cose da pubblicare. Ora mi sembrano più importanti altre cose.

Ti sconsiglio di reiscriverti alla Holden per responsabilizzarti di nuovo, perché forse non bastano i ricavi sempre rosicchiati di un libro per potersela permettere.

No, non credo! Ah ah ah.

Però quel libro era in una fase avanzata.

Sì, io dovrei solo correggerlo e rivedere certe cose. Per esempio dovrei cambiare il lavoro del protagonista perché mi sono resa conto che non è consono al suo carattere. La storia c’è fino alla fine, il romanzo c’è, però non è la mia priorità adesso.

Quindi dopo Ada brucia è uscito solo il racconto su L’inquieto. Ed è un altro racconto a tema pedofilia. Si tratta di un racconto autonomo o è l’anticipazione di qualcosa?

No, è da solo. Mi hanno contattata dalla redazione dicendo che gli avrebbe fatto piacere pubblicare un mio racconto. Io ho accettato ma sono andata in crisi per sei mesi perché non ho mai scritto un racconto in vita mia. Mi sono sforzata ed è stato più difficile che trovare l’idea per un romanzo. Quindi ci ho messo il tema che a me è più caro, però è una cosa unica, non diventerà nient’altro.

Ha dei legami con quel personaggio brutto e cattivo che tieni nel cassetto?

No, con quello no.

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Il mondo degli scrittori

Ultima domanda, poi ti lascio libera. Puoi darci qualche notizia o anticipazione su cosa cosa stai scrivendo o facendo? Può essere interessante per quelle tre persone che leggono il blog (tra cui mia madre)?

Avendo messo da parte la scrittura, non mi sto concentrando su quell’ambito. Sono sempre abbastanza al di fuori dall’ambiente editoriale e non mi sono trovata così bene nell’ambiente degli scrittori. Così me ne sono tenuta un po’ alla larga.

Però adesso devo farti un’altra domanda, perché se mi dici che non ti sei trovata bene nel mondo degli scrittori io devo chiederti per forza il perché!

Io me l’aspettavo diverso, molto più genuino… ho notato che molti scrittori tra di loro si fanno dei favori. Cioè tu leggi il mio libro, io leggo il tuo, dico che è il libro più bello che abbia mai letto, che ha uno stile super originale, che non ho mai letto niente del genere, che era un libro necessario. Ci sono tutte queste frasi e parole che in quell’ambiente vengono usate per tutti i libri che escono. E tutto questo sminuisce il mio commento su un libro che davvero mi è piaciuto da impazzire, e che quindi io ci tengo ad esprimere. In sintesi, in quest’ambiente non riesco a non vederci dell’ipocrisia. E quindi non ho mai voluto entrarci o averci a che fare, non ci riesco.

Ok. È bellissimo che tu stia dicendo questo perché proprio stamani parlavo con alcuni amici del problema degli inserti culturali. Mi piacciono, piacciono a tutti, li leggiamo. Però ci sono solo giudizi positivi. E questa è la stessa cosa che hai appena raccontato tu, solo che se a farlo sono gli autori è ancora più grave perché il recensore da quotidiano è costretto, per logiche di mercato, a dire che un libro è bello, mentre l’autore no. Davvero grazie, ora ti lascio stare. Buona scrittura, attendo il prossimo libro.

Va bene, ciao!


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