Il reggimento parte all’alba

Il reggimento parte all’alba

Può capitare che, tornando dalle ferie, lavorare ti sia faticoso. Ti siedi alla scrivania, controlli le email un po’ insofferente, e poi inizi a preparare i libri per l’ordine che doveva già essere stato spedito. Devi applicare le immagini all’ultimo uscito, così stacchi la pellicola della striscia adesiva che sta dietro alle immagini, ne posizioni l’angolo in alto a sinistra sul segno stampato appositamente sulla pagina per centrare l’immagine, e poi cerchi di far combaciare anche il margine superiore dell’immagine con una piccola linea stampata che devi assolutamente coprire affinché l’immagine sia dritta. A volte quel lavoro ti rilassa, è vero, ma tornando dalle ferie, da quelle ferie turbolente, fatichi a far combaciare al primo colpo l’immagine con l’angolo e le linee, devi riprovare perché non puoi sbagliare, vorresti essere altrove e con la testa sei da tutt’altra parte ma adesso sei lì, il tuo corpo è lì, in quell’ufficio, ad applicare immagini che devi necessariamente applicare bene. Altrimenti il libro è da scartare.

Non senti l’editore entrare, iniziare a cercare dei libri da spedire, e non lo vedi neanche quando si avvicina alla tua postazione mentre tu sei concentrato e chino sull’angolo di un’immagine, angolo che tieni premuto con la mano sinistra nella giusta posizione mentre con la destra fai lentamente ruotare l’immagine per spostare in alto il margine superiore fino a fargli nascondere la piccola linea orizzontale. All’improvviso ti saluta: Buongiorno, tu rispondi di soprassalto: Buongiorno, e alzi le mani dal libro in lavorazione come colto sul fatto, in flagranza di reato nell’aver messo forse un’immagine leggermente storta, millimetricamente storta, ma l’immagine è dritta e comunque all’editore non interessa perché ti sta porgendo un libro, L’hai letto questo di Buzzati?, e tu neanche capisci che libro è perché non ha la sovracopertina, non ha neanche la copertina di cartoncino bianco, è come se non fosse neanche un libro, ne ha la forma ma è solo un mucchio di pagine incollate tra loro. Comunque rispondi No, non credo, e allora lui te lo lascia e se ne va. Non dice Dovresti proprio leggerlo, non dice niente, ma è come se sapessi che dovresti proprio leggerlo.

Sei incuriosito, apri quei fogli con forma di libro e leggi il titolo, Il reggimento parte all’alba, e pensi: Va bene, un libro sulla guerra, interessante. Richiudi il libro, te ne scordi e torni ad applicare immagini per tutta la mattina, perché le ferie sono finite e il rientro non prevede pause di alleggerimento da “ritorno troppo traumatico”, no, anzi, il rientro è il momento di lavoro più intenso perché rientrano tutti, ci sono i lavori arretrati, ci sono i nuovi progetti, e insomma non c’è mai pace. E dopo una giornata trottando a destra e a sinistra, applicando immagini spostando scatole correggendo bozze di autori che no, non pensavi di poter mai leggere inediti, dopo una giornata così sfiancante torni a casa e la prima cosa che fai non è assolutamente aprire quel libro. Te lo sei dimenticato nello zaino, quel libro, e hai solo voglia di farti una doccia, di ritirarti a letto per cercare di riunire il corpo che è lì, in quel letto, alla mente e al cuore che sono altrove, da tutt’altra parte, un po’ sparsi tra la Toscana, la Sardegna, la Liguria, il Veneto, insomma ovunque, e così ti fai una doccia e ti butti a letto senza neanche cenare.

Non hai sonno, ovviamente non ti basta essere stanco per riuscire a dormire. Prendi il libro che stavi leggendo e ti accorgi che mancano poche pagine, così lo finisci, un libro di cui non sapresti ricordare né il titolo né l’autore né la storia però ti ha tenuto compagnia, insomma non un bel libro ma simpatico, lo finisci e lo metti via. Pensi che probabilmente non lo riaprirai mai più, ma fa parte del gioco. E pensi anche che non ti è ancora venuto sonno, hai letto troppo poco, così prendi il primo libro che ti capita tra le mani aprendo lo zaino, l’unico rimasto perché viaggi leggero, fa caldo, non guardi neanche cosa stai prendendo ma prendi qualcosa che ha la forma di libro, lo senti, e tirandolo fuori ti accorgi che non ha sovracopertina, non ha niente, ha direttamente le pagine da sfogliare. È quel Buzzati, e non hai molta voglia di leggere Buzzati che parla della guerra, ma hai ancora meno voglia di alzarti a controllare la libreria, non hai assolutamente voglia di quel rituale così denso e importante che è la scelta di un libro da iniziare, non ne hai le forze. Così apri quello, e ridi perché non ha neanche le immagini applicate a mano, come dovrebbe, dev’essere proprio un libro monco, fallato, che non si meritava neanche le immagini, e inizi a leggerlo quel Reggimento parte all’alba che non ti invoglia minimamente, e che inizia così: Da alcuni piccoli sintomi, da certe voci che corrono, da certe facce che si incontrano, viene quasi da pensare che il suo reggimento si prepari alla partenza, e magari partirà tra un mese, fra un anno, fra dieci anni, ma già si prepara.

Pensi che sia intrigante nonostante tutto, nonostante questa storia del reggimento che si prepara anche se non sa quando partirà, è un po’ strano e allora continui a leggere: È una giornata bellissima di primavera, il 9 maggio, un sabato, dinanzi alle case della città uomini donne e bambini si affaccendano intorno alle automobili, caricano valige, pacchi, giocattoli, sci, battelli, sono vestiti per la gita, l’amore, la giovinezza, la speranza, la vita. Anche nei grandi cortili del suo reggimento, chissà dove, batte lo splendido sole ma portaordini vanno e vengono, la tromba dà segnali insoliti che nessuno o quasi conosce, si nota una diffusa irrequietudine, il signor colonnello, il capo di stato maggiore e gli altri ufficiali importanti stanno lavorando nei loro uffici benché sia sabato di primavera e la gente della città si prepari al sollievo alla libertà, alla gioia, perché forse il reggimento deve partire. È il reggimento suo? Non è che lui sia militare di mestiere. Ma tutti senza eccezione nella sua città e anche fuori nelle campagne, valli, rive del mare per quanto è esteso il mondo tutti in certo modo appartengono a un reggimento e i reggimenti sono innumerevoli, nessuno sa quanti sono, e nessuno sa neanche quale sia il suo reggimento, eppure i reggimenti sono accantonati qui intorno, anche nel cuore della città, benché nessuno se ne accorga e ci pensi. Però quando un reggimento parte, chi gli appartiene, pure lui deve partire. Altri dicono invece che si tratta di navi. Ciascuno è iscritto come passeggero di una nave senza sapere dove sia né il nome. E sono navi strane capaci di salpare dal centro di un arido deserto o dalla precipitosa gola di una montagna. Ma reggimento o bastimento è lo stesso, il fatto è che un bel giorno ciascuno di noi deve partire.

È tutto molto strano eppure ti stuzzica, capisci che non è solo una questione di guerre e di battaglie, ti chiedi che senso ha partire con un reggimento senza esser militari, e ti ripeti che non ha senso che tutti debbano partire, che non ha senso neanche che nessuno sappia quale sia il proprio reggimento, insomma inizi a percepire qualcosa, e ti ricordi ancora oggi l’esatto momento in cui hai capito che non si trattava di guerra, ma di qualcosa molto affine, e se ti sforzi senti di nuovo quella cosa hai percepito in quel momento, perché era un brivido, vero?, un brivido che ti ha preso tutto, non solo la schiena ma anche le dita che tenevano il libro, e le punte dei piedi a contatto col lenzuolo che li copriva.

E ti ricorderai per sempre che hai capito tutto voltando pagina, sì, c’è voluto ancora poco per capire che non era solo guerra, ma era qualcosa di più, in particolare quando hai letto: L’avviso arriva a tutti, con maggiore o minore anticipo, che talora è di ore, o di giorni, talora è di mesi o addirittura di anni: eccezioni non esistono. Senonché quasi nessuno se ne rende conto. Questo perché nella maggioranza dei casi l’annunzio non consiste in un modulo esplicito come la chiamata alle armi, bensì in piccoli segni che facilmente si possono scambiare per fenomeni casuali del tutto indifferenti. Ma soprattutto perché gli uomini ripugnano selvaggiamente all’idea del loro fatale destino

Ecco il brivido che ti ha scosso, il corpo che legge fatale destino e trema per una frazione di secondo, i peli che si rizzano e la pelle d’oca che non si calmerà per un po’. Ed ecco che oltre al corpo fremente, la mente e il cuore ti schizzano via dal letto e tornano a quelle ferie così turbolente e strane, così felici e tristi, a quell’ultima cena insieme al tuo amico, a quegli altrove così carichi oggi di ricordi, memorie, parole. Ti chiedi come sia possibile, per quale casuale coincidenza, si possa ricevere come consiglio o ordine di lettura un libro che parla del morire, e non della morte, proprio dopo aver perduto una persona così cara, morta all’improvviso come all’improvviso hai ricevuto quel libro. Tutto all’insaputa dell’editore che quel libro te l’ha consegnato. Ti chiedi perché non parlasse di guerra quel dannato libro, sarebbe stato più semplice, meno doloroso, ti chiedi perché sia morto, ti chiedi perché proprio quel libro e proprio in quel momento, ti chiedi un sacco di perché ma senti che il cuore accelera e devi alzarti dal letto, così ti alzi, vai nel bagnetto senza finestre a sciacquarti la faccia con l’acqua calda che esce a fine agosto dal rubinetto. Ti dici: Adesso va meglio, ma non va meglio, prendi un po’ d’aria sul terrazzo ma sai che tornerai al libro che avevi abbandonato sul letto perché vuoi capire, vuoi continuare a leggere, Magari qualche risposta ce la trovo, ti dici.

Eppure continui a chiederti il perché di questa coincidenza, anzi di questa orribile coincidenza; e poi valuti la parola “orribile” e pensi: è solo una coincidenza, è solo un caso, un piccolo caso fra i miliardi che ci sono a questo mondo, una cosa che sta succedendo. Ma perché sta succedendo a te? Questo ti chiedi… E mentre ti chiedi questo ringrazi Tabucchi per averti prestato le parole, e ringrazi anche l’editore per averti involontariamente dato il libro giusto al momento opportuno, anche se con non poco dolore, e ringrazi Buzzati per averlo scritto anche se hai soltanto letto le prime pagine. Quindi torni in casa, riprendi il libro e lo leggi tutto in una sera, non senti più la stanchezza e invece di invogliare il sonno quella lettura, quel libro, ti tengono sveglio, ti fanno vibrare corde rotte, corde ferme da qualche settimana.

Ti leggi tutto il libro, e scopri che è incompiuto perché anche per Buzzati è arrivato il reggimento, e il curatore ti spiega che per lui non è arrivato all’improvviso, c’è voluto del tempo, il tempo giusto per iniziare a scrivere un libro e tanti altri, ma soprattutto uno, quello che tieni in mano, un libro sul morire imminente ma non troppo, imminente perché il libro è incompiuto, ma non troppo perché la struttura c’è, l’essenziale è stato scritto, il senso passa. Buzzati, pensi, ha avuto il tempo di raccontare il morire di alcune persone note o meno, persone reali e fittizie, e chissà di quante altre avrebbe voluto scrivere, ma pensi anche che non importa, che sia andata proprio come doveva andare, un libro simile doveva rimanere incompiuto.

Hai finito il libro ma continui a sfogliarlo, rileggi quelle pagine a cui hai piegato l’angolo, gli fai sempre l’orecchio per ricordarti i punti salienti, le parti che ti hanno toccato di più, e dopo aver sfogliato alcune pagine ricapiti sulla vicenda di Galileo Tani, quel tale che sapeva d’esser malato, eppure gli andava bene così, aspettava soltanto che arrivasse il reggimento e non faceva nulla per ritardare la chiamata, fargli cambiare rotta. Non sta bene. Da quattro mesi è malato, i medici gli dicono che deve farsi curare, raggi, catabrissara e tutto il resto. L’ordine di marcia, nel suo caso, può essere prorogato sine die. Ma lui non ne ha voglia. Dopotutto, gli conviene? Che bel risultato, per esempio, campare altri quindici anni, trovarsi di nuovo appoggiato alla balaustra guardando ancora più passivamente la strada e di là della strada il lago grigio e freddo coi motoscafi cretini. E dietro le sue spalle la casa vuota. Vuoto il letto della moglie. Così la camera della cara sorella. Così la camera del fratello minore. Così perfino la stanza degli ospiti, chi può infatti invitare, ormai? E la sera in solitudine dinanzi alla televisione. Neppure la donna, che dopo pranzo se ne va perché abita in paese. Salute di ferro. Ottantun anni. Ad majora. Che splendida speculazione. Poco fa è passata una roulotte a stelle e strisce, carica di bambini. Ora si è fermata una camionetta militare. Il sergente ha salutato, poi rispettosamente ha fatto un cenno.

Hai riletto questo brano varie volte, e non puoi negare di aver pianto alla scena del Tani solo, in casa, davanti alla televisione, e alla sua decisione quasi volontaria di lasciarsi andare, di abbandonarsi al reggimento. Poi hai paragonato quel morire a quello del tuo amico, Pier, e hai pianto anche pensando alla chiamata improvvisa che ha ricevuto il tuo amico dal suo, di reggimento, quel Pier che vendeva tegami e regalava sorrisi – e bicchieri di vino – sì, proprio quello che all’improvviso è morto senza dare spiegazioni a nessuno. Hai pianto ancora un po’ leggendo il morire di tutti quei personaggi di Buzzati, e in un momento di lucidità hai pensato che non si può raccontare il morire se non durante il morire stesso.

Dopo le ultime lacrime ti sei di nuovo sciacquato la faccia, gli occhi un po’ gonfi, e ti sei accorto che le lacrime hanno reso il verde dei tuoi occhi, quel verde che nessuno nota mai perché è sempre troppo scuro e quasi marrone, insomma quel verde è diventato più vivo, brillante, così ti vedi gli occhi gonfi ma luccicanti, e sorridi leggermente. Torni a letto, giri il cuscino dalla parte non bagnata dalle lacrime, e chiudi gli occhi. Pensi a quel tuo amico che avrà sicuramente bestemmiato al ricevere la chiamata così, all’improvviso, proprio il giorno dopo aver passato una serata insieme a te e agli altri, una serata così divertente, come sempre, un rito in cui qualcosa era andato storto ma nonostante questo era andato tutto bene, tutto quasi come sempre. Pensi che quella cosa andata storta, quella campana che non aveva suonato, poteva essere un segnale della fine imminente, dell’arrivo di un reggimento, del morire di qualcuno, ma ti dici anche che ormai è successo, inutile pensarci troppo.

Però continui a pensarci, e pensi alle bestemmie, alle urla di rabbia di chi non può accettare di esser stato così felice e poi, poco dopo, di non essere più, le urla di qualcuno a cui, di colpo, gli veniva tolto tutto. E pensando a questo un po’ piangi e un po’ ridi, non capisci e fidati, non capisco neanche io, però questo è quello che è successo. Un po’ hai pianto, un po’ hai riso, ancora, e poi ti sei addormentato, anche tu all’improvviso, come morto.

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