Questo testo voleva essere una piccola recensione ad un piccolo libro. Un omaggio alla sua illustratrice e, soprattutto, una richiesta di perdono per un debito mai saldato. Poi, la recensione si è persa tra le righe finali ed è venuto fuori qualcos’altro, qualcosa che, oltretutto, non so bene cosa sia. Spero però che si sentano i sensi di colpa, i miei, e la bravura dell’illustratrice.
Avevi i capelli più folti, meno rughe sulla fronte e di sicuro meno pensieri quando l’hai conosciuta. Un incontro come tanti, amici che ti presentano amici che poi prendono altre strade e tu lì, sulla tua, con tutti i suoi tramonti, le ripide discese, i lunghi rettilinei. Ogni tanto capita anche di ritrovarti con certi amici persi, e pure con amici di amici il cui nesso si è perso da tempo. Così è successo con lei, anche se a cercarla sei stato tu. Hai pensato subito a lei quando hai deciso di farti un tatuaggio. Lei non tatua, purtroppo, ma per quell’idea di tatuaggio che tale è rimasta volevi la sua leggerezza, la leggerezza del suo tratto, la dolcezza della sua mano.
Le hai scritto per avere alcune bozze e, dopo qualche prova, è riuscita a darti il tatuaggio dei tuoi sogni. Non le hai dovuto spiegare le cose mille volte, e non ha neanche riso di te. Dopo poco aveva compreso: per un grande tatuaggio su una grande schiena ci vuole qualcosa di leggero.
Ovviamente le avevi chiesto il costo e, a ripensarci adesso, neanche ti ricordi quanto fosse. Venti euro? Trenta? Non lo sai. Ti ricordi soltanto di aver insistito per dare una piccola caparra, per poi pagare il saldo alla fine. Così ti hanno insegnato: il lavoro va pagato.
La memoria non ti è mai stata amica. Non è solo una questione di date, per te, perché scordi indistintamente il compleanno del tuo migliore amico e il motivo per cui sei uscito a fare la spesa. Cosa sei uscito a comprare?, ti chiedi spesso, e non lo sai. Dev’essere un tuo tratto distintivo, un malus dalla nascita che non hai ancora capito da quale magica dote sia compensato. Così ti sei scordato di finire di pagare il lavoro. Complice la carta di credito senza soldi per qualche settimana, ti sei scordato di pagare un debito.
Non è così grave, direbbe qualcuno, vista l’entità del debito. Ma è il debito in sé a tormentarti, infatti, dopo mesi, ti sei ricordato del danno, l’hai rintracciata per chiederle di nuovo i dati per pagare e… hai cambiato telefono. Hai perso la chat. Hai perso, anche, la memoria del debito. C’è la recidiva, è gravissimo, pensi. E non sai più dire quanto tempo sia passato, due anni?, tre?, puoi solo ricordarti di avere un debito di non sai quanto, da non sai quanto tempo, con una persona che forse si è scordata di te. Ma te, ormai, non la dimentichi più.
Che siano passati anni ne sei sicuro. Il progetto di quel tatuaggio – l’unico, dicevi – è stato accantonato per dare la precedenza a un panorama, ma il progetto è sempre lì, in attesa, e ogni volta che ti torna in mente ti ricordi anche di lei. E anche se con i social non sarebbe difficile scriverle, potresti semplicemente dirle, Ehi, sono un coglione, ti devo ancora pagare, potrai mai perdonarmi?, no, non lo fai, troppo difficile, troppa vergogna. Talmente tanta da esserti vergognato di avere vergogna. E se qualcuno, raccontandogli questa storia, ti dovesse dire che non ci si può vergognare per provare vergogna, probabilmente, con molta tranquillità e senza provare vergogna, inizieresti ad offenderlo.
Poi, un giorno, alcuni mesi fa, la svolta: l’annuncio di una sua pubblicazione. Un’idea e l’attesa. L’idea ti è venuta subito: scrivere una recensione, pubblicarla, e mandargliela in privato con tante scuse per il debito mai saldato, sperando di non sembrare meschino, ma rassegnato ad apparire pirla. Va bene così, ti dici. Hai atteso l’uscita pensando sempre più spesso al vecchio debito, alla figura barbina che rischia di essere schedata tra le brutte intenzioni e la maleducazione anche se, più semplicemente, è altro: una memoria bacata. Quando il libro è uscito ne hai ordinate due copie dal tuo libraio di fiducia, e, quando il libro I pantaloni di Guglielmo è arrivato, hai sperato di aver quasi risolto tutto.
Una copia l’hai regalata all’amico che vi ha fatto conoscere, e quando gli hai raccontato la tua strategia, dopo averti dato del coglione, ha riso. Non sai se abbia riso per la strategia, o per la tua strana forma di vergogna, ma ha riso. E hai riso anche tu, finché non hai provato a scrivere quella recensione che era il nucleo di tutto. E quella recensione non usciva.
A volte non c’è soluzione, se qualcosa non esce, non esce. Volevi parlare dell’editore, dell’autrice, e non solo dell’illustratrice. Volevi parlare del profumo del libro, perché ognuno ha il suo. E non ci sei riuscito. Qualcosa hai detto, a dir la verità, ma sei riuscito a parlare soltanto dei disegni, di quanto il suo tratto ti piacesse ancora, a distanza di anni, e di come vorresti vederla all’opera, forse strizza gli occhi quando si concentra?, forse inclina la testa di lato?, comunque vorresti vedertela accanto, quando dalla tua penna non esce neanche una stupida recensione e dalla sua escono simpatici uccellini, vestiti accartocciati dal vento, bambini con le guance rosse.
Vorresti raccontarle di come una dolcissima molletta a forma animale ti abbia fatto ridere, di come quell’uccello che salta dei funghetti in padella, volando, ti abbia fatto venir fame, e di come quegli occhietti a forma di cuore di un altro uccellino, ricamato su una borsetta, ti abbiano fatto venir voglia di essere bambino per poter leggere solo libri così.
Non credi sia sufficiente tutto questo per descrivere I pantaloni di Guglielmo, e forse non è sufficiente neanche per rimediare alla figuraccia fatta. La memoria si scorda le cose ma, lo sai, mica si assume le sue responsabilità. Fa passare gli anni, per poi obbligarti a sederti al tavolino, dopo una giornata pesante al lavoro, per scrivere (invano) una recensione riparativa e poter dire, se dovesse succederti qualcosa domani, che i tuoi debiti li hai ripagati.
Forse facevi prima a scriverle.