Antonio Tabucchi e un Notturno indiano matto

Antonio Tabucchi e un Notturno indiano matto

Ti capita mai di cercare un libro per mesi nelle bancarelle, nei negozietti di libri usati, nei mercatini, e di non riuscire a trovarlo? No, non parlo di rarità, parlo di libri normali, libri importanti ma pur sempre comuni, diffusi, libri bestseller, ecco, ah, no?, trovi sempre tutto?, beata te. Io cerco da mesi il Notturno indiano di Antonio Tabucchi, sì, non è un libro raro, potresti farmi notare che basterebbe entrare in libreria per trovarlo nuovo fiammante, luccicante, però lo vorrei usato perché l’ho già letto, ma non ce l’ho. Sono passati tanti anni e credo d’averlo letto su consiglio di qualche amico che me l’aveva prestato, chi lo sa?

Adesso Tabucchi è rientrato nella mia vita con una grande prepotenza, un po’ per colpa di qualche conoscente, qualche amico, un po’ per colpa di qualche amore platonico, anche se non ho mai capito bene cosa voglia dire, amore platonico, e anche un po’ per colpa di Tabucchi stesso, dei suoi equivoci, delle sue tanto care coincidenze. Per questo non posso non tornare su quel libro che, lo ammetto, all’epoca mi scivolò via come qualcosa di mal digerito. Ricordavo, di quella lettura, solo un vago fastidio. Ero giovane, poco più che un ragazzo, e si sa che l’adolescenza è scema, un periodo proprio scemo in cui fai cose senza senso e anche tu, in qualche modo, non hai un senso. Ecco, quel libro dovevo proprio recuperarlo.

E pensavo di esserci quasi riuscito quando, due settimane fa, l’ho incrociato su una piletta nella mia libreria dell’usato di fiducia. Stava per essere messo in vendita, dalla scrivania della libraia allo scaffale, quando l’ho visto, Questo è mio, dissi, e me lo presi senza neanche sfogliarlo. L’edizione non è rara, ma è molto curata: si tratta di una seconda edizione del 1989 della collana «Il castello» Sellerio, con sovra-copertina in carta vergata marrone e, come immagine, la miniatura di una bellissima donna indiana. Non potevo chiedere di meglio.

Tornai a casa contento dell’acquisto e iniziai a leggerlo subito. Era sera quando mi accorsi che qualcosa non andava. Mi sembrava di star rileggendo cose già lette. Forse avevo riletto la stessa pagina due volte? Ci sta, ero stanco. Allora salto la pagina, Ecco, dove eravamo rimasti?, e proseguii la lettura. Ma qualcosa, ancora, non andava. Stavolta mancava un pezzo, ne ero sicuro. Misi il segnalibro a pagina 69 e chiusi il libro. Mi preparai una tazza di tè, stavo forse impazzendo?, e sedendomi alla scrivania iniziai a controllare i numeri di pagina.

1-2-3-4… 64-65-66-69-68-69. Ma come, cazzo, questo libro è ubriaco, mi dico. Continuo a sfogliarlo e vedo che alcune pagine sono doppie, alcune mancano, e mi bevo il tè ridendo perché neanche capisco come sia possibile questo casino. Eppure lo so come si fanno i libri, come si assemblano, quartino per quartino, ottavo per ottavo, insomma, dipende.

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Mi rassicurò sapere che non ero io quello impazzito. Continuai a sfogliare. 68-73-72-73-72-77. Va bene, è più grave del previsto. Continuavo a ridere nel vedere quelle pagine così incasinate. E non era finita. 76-77-76-81-80-81-80. Fine. Niente colophon, solo l’ultima pagina non era numerata e conteneva l’elenco dei titoli della stessa collana.

Non avrei finito il libro, per quella sera, e non a causa mia, ma credo che neanche la sua vera conclusione fosse una vera conclusione. Era forse questo che mi aveva infastidito, da ragazzo?, l’idea di qualcuno che cerca qualcosa, o qualcun altro, senza arrivare mai? Non ricordo. E pensare che oggi cerco proprio quello, nei libri, il vago e l’incongruo, conclusioni che non concludono, non chiudono ma aprono, appunto, e così anche nella vita, storie che accadono, che non si esauriscono, libere. Già il libro in sé, sempre per l’estensore, dovrebbe “servire da guida per amanti di percorsi incongrui”. Ma questa copia in particolare è molto di più, è l’emblema dell’incongruo.

Mi chiedo se sia l’unica copia fallata così, in questo strano modo. Mi chiedo cosa gli sia preso al tipografo quando ha dovuto mettere insieme i fogli, nel 1989, quando li ha messi insieme un po’ a caso, come venivano, altrimenti non si spiega. Forse aveva fretta, anzi sicuramente, e allora ha preso una manciata di fogli e via, tutti assieme, a caso, tanto chissenefrega, il libro lo vendono lo stesso. E aggiungerei che lo ri-vendono, se è arrivato fino alla libreria dell’usato, per poi finire nelle mie mani.

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Mi chiedo se sia mai stata letta, questa copia, se non ha incuriosito il vecchio proprietario. Perché liberarsi di un libro così speciale?, mi chiedo, Che senso ha?, e la risposta è sempre la solita, quel vento gelido che ti prende e ti porta via, e oltre a portarti via ti toglie la possibilità di disporre delle tue cose, della tua roba, Ci penseranno i tuoi figli, ti dice mentre ti fa passare il suo braccio vuoto attorno alle spalle, per accompagnarti dove ti meriti, e te non hai altra scelta che lasciarti prendere e farti accompagnare, osservi i tuoi libri mentre vai via e sai che, comunque vada, qualunque sia la sorte di quei libri, non è più affar tuo.

Allora ti metti l’anima in pace, perché quella è l’unica cosa che ti rimane, almeno credo, o spero, ripensi un po’ ai libri letti e anche tu speri, un domani, dopo le questioni burocratiche almeno, speri di poterne leggere ancora un po’, dei tuoi libri, e speri di riuscire a leggere il finale di quel libro fallato che mai, mai hai voluto ricomprare, perché ti piaceva così, forse unico, sicuramente incongruo.


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